Una breve storia della resistenza cittadina e provinciale

 

Vicenza clandestina - 1

 

 

Il testo di questo documento è stato stilato negli anni 60 da tre protagonisti della resistenza clandestina vicentina: Gino Cerchio, Giordano Campagnolo e Antonio Emilio Lievore. Tutti e tre questi personaggi fecero parte del Partito Comunista e, sia pure con differenti ruoli, ebbero un grande peso nelle operazioni di “intelligence” e sabotaggio condotte nel centro città e nella provincia. E’ un testo molto importante per capire cosa fosse la resistenza in una città capoluogo di provincia e per i rapporti che si costruirono con le altre realtà del vicentino.

 

 

A Vicenza le componenti antifasciste attive in forma clandestina erano: il Partito d’Azione, imperniato sul prof. Mario Dal Prà, Antonio Giuriolo e l’avv. Jacopo Ronzani (Pino); i socialisti, sempre serrati attorno alla integerrima figura dell’ex sindaco Luigi Faccio; i democristiani che si riunivano spesso, sia nel circolo di S.Stefano (famoso per avere dato i quadri dirigenti provinciali e nazionali), sia nella badia di S.Agostino, da don Federico Mistrorigo con Torquato Fraccon, l’avv. Giacomo Rumor, ecc.; i liberali invece erano sparsi un po’ dappertutto, come lo erano i repubblicani capeggiati sempre dal prof. Stefano Aldighieri, dall’avv. Giovanni Ronzani e dal dott. Nico Sguario.

 

Infine il PCI che non aveva mai smesso la lotta contro il fascismo e che aveva cellule (costituite ciascuna da tre a cinque persone) in tutti i principali comuni della provincia. La Segreteria Provinciale, l’unica in contatto diretto con il Comitato Regionale Veneto, si era sempre mantenuta a Schio, malgrado gli arresti, le deportazioni e le condanne in forme sempre massicce, specie nel 1937.

 

In città esistevano naturalmente più cellule che negli altri Comuni e, particolare importante da segnalare, il fatto che pur si può dire conoscendosi tutti, questi compagni, se non appartenevano alla stessa cellula ingnoravano l’appartenenza al Partito degli altri e ciò per motivi di sicurezza comune. Si potrebbero fare dei nomi, ma riteniamo superfluo ciò anche dal fatto che prima o poi questi verranno fuori nel corso della relazione.

 

La nostra cellula aveva contatti con tanti elementi di tendenze diverse, tanto è vero che subito dopo il 25 Luglio assieme alle altre cellule si formò un numeroso gruppo da noi capeggiato ed in maggioranza di orientamento verso il PCI, ma composto da anarchici, democristiani, liberali, socialisti, che rimanevano però fedeli ai loro ideali, ma che si appoggiavano a noi per tre motivi principali: il primo era dovuto al fatto che, nel ventennio fascista, il Partito Comunista era sempre stato considerato il pericolo numero uno, ed ora di logica conseguenza diventava il protagonista principale dell’antifascismo. Il secondo era che noi, pur essendo pochi, eravamo organizzati e molto attivi in tutti i campi e perciò la nostra presenza poteva forse significare una forte e numerosa rappresentanza. Il terzo motivo era che questi nostri cari amici e compagni erano animati da un forte ideale di libertà e volevano partecipare alla rinascita della democrazia nel nostro paese.

 

Tutti i gruppi summenzionati discendevano ideologicamente, chi dalla “Azione Cattolica”, chi dal “G.O.E.” (Gruppo Operaio escursionistico), chi dalla Scuola di Cultura Popolare, tutte soppresse dal fascismo dopo il 1931, che lasciò in vita solamente la “Società Generale di Mutuo Soccorso”, imponendo un Commissario fascista alla Direzione. A proposito dell’Azione Cattolica, questa ebbe in città e provincia, le sedi devastate o incendiate e vari esponenti più volte picchiati dalle squadracce fasciste come Riccardo Bubola ad esempio che ebbe a subire ben sei o sette aggressioni.

 

In una di queste, avvenuta di domenica sera nei pressi del Ponte Pusterla, con Bubola per sua fortuna c’erano altri quattro coetanei fra cui Giordano Campagnolo e Renato Mazzonetto. Questi si buttò con molta decisione contro quei giovani fascisti che dovettero desistere dai loro propositi. Riccardo Bubola venne amorosamente accompagnato a casa dai due amici, che poi vennero inseguiti dai fascisti esasperati da S.Bortolo a S.Lucia.

 

Non osarono avvicinarsi troppo perché in quel tratto c’erano allora i binari della Tramvia Vicenza-Montagnana e pertanto c’era tanto di quel materiale (sassi) che una difesa era relativamente facile per i due sopracitati. In epoca successiva venne chiesto, a Giordano, il perché della sua difesa a un giovane cattolico, alludendo forse al fatto che a sostenere il primo Governo Mussolini, fu determinante l’ingresso in quel Ministero degli onorevoli Gronchi e Merlin appartenenti al Partito Popolare.

 

Giordano rispose che erano amici con Riccardo in quanto avevano mangiato assieme la “granatina” (sciroppo con ghiaccio tritato) come a dire: abiamo diviso il pane ed il sale e ciò è sufficiente per essere uniti nel vincolo dell’amicizia.

 

Si deve comunque riportare ciò che si diceva in tutta Vicenza e cioè che il suaccennato Ponte Pusterla era quello che univa e divideva i cittadini, in quanto da una parte c’era la redazione dell’Avvenire d’Italia e la sede dell’Azione Cattolica e dall’altra c’era e c’è tuttora la tipografia e la casa dei Rumor e questo era il motivo d’unione, mentre la divisione avveniva per il fatto che sulla parte opposta alla casa Rumor c’era il Palazzo Littorio, sede della Federazione Provinciale del Fascio.

 

Comunque furono innumerevoli le violenze fasciste, sia contro operai, contadini, sacerdoti,ecc., tanto che il Vescovo di Vicenza Mons. Rodolfi protestò indignato con Mussolini che rispose con un telegramma il cui testo trovasi nella biografia del Vescovo edita dalla tipografia Rumor.

 

Trovò invece larga eco una lettera al Segretario Politico Nino Dolfin che circolò clandestinamente in tutti i ceti sociali della provincia. Altro episodio da segnalare è quello notissimo dal giovane avvocato Giacomo Rumor che respinse a sediate gli aggressori. Dovette però cambiare studio andando a fare il praticante da quella limpida personalità dell’avv. Giuliari che nel 1945 venne poi nominato dal CLNP (Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale) presidente della Deputazione Provinciale in sostituzione dell’avv. Giuliano Ziggiotti, ucciso nei giorni della liberazione.

 

L’antifascismo comunque non venne mai meno negli ex aderenti alle succitate organizzazioni, tanto che il 25 Luglio non li trovò del tutto impreparati, anche se la maniera con cui avvenne la caduta del fascismo sorprese la maggioranza degli italiani.

 

25 Luglio 1943

 

Il proclama di Badoglio provoca in Vicenza e provincia una esultanza generale. Non viene segnalato alcun incidente, sia perché i gerarchi e gerarchetti non si fanno trovare, ma soprattutto perché la gioia soffoca ogni eventuale punizione. Il fascismo è crollato e non cè un cane che tenti la sua difesa malgrado i motti che imbrattavano i muri delle case: “Se avanzo seguitemi” ecc. ecc.

 

Solo e unico caso Tondini, il gobbo, facilmente riconoscibile appunto perciò, riceve qualche pedata dove la schiena cambia nome. Ma era colui che sputava sulle scarpe dei passanti antifascisti per provocarli, in modo da fare intervenire a sua difesa la squadraccia fascista appostata nei vicoli vicini.

 

Noi sfruttammo subito il malcontento generale e in particolare quello delle classi meno abbienti. Non bisogna dimenticare i salari di fame e le misere razioni alimentari che il regime, in seguito alla guerra, aveva imposto.

 

La questione sindacale

 

Convocammo una riunione a Vicenza, nel retrobottega di Oddo Cappannari, presenti per Schio: Domenico Baron, Silvano Lievore e altri; per Arzignano e Valdagno: Maestro; per Vicenza: Carlo e Giordano Campagnolo, Oddo Cappannari, Gino Cerchio, Carlo Gabetti, Vittorio Dorio; Vittorio Giordana ed in secondo tempo Emilio Lievore trattenuto per lavoro e che rappresenterà anche la città di Bassano.

 

Dopo serena discussione, considerato il fatto che a Vicenza capoluogo c’è Prefettura, Questura, ecc. viene deciso il trasferimento della Federazione Provinciale del PCI da Schio a Vicenza, con una segreteria collegiale composta da: Gino Cerchio, Emilio Lievore, Giordano Campagnolo e Carlo Campagnolo. Viene discussa la questione sindacale, divenuta di primaria importanza, in seguito al fatto che al giornale locale “Vedetta fascista” era stata cambiata la testata in “Il Giornale di Vicenza” e con un atto steso da Gino Cerchio e sottoscritto da tutti i lavoratori si era costituita la Commissione Interna.

 

Questa si era presentata al Colonnello, incaricato dal Governo Badogliano per vigilare le attrezzature, gli addetti e le notizie stampate (censura), si era impegnata alla difesa degli impianti e alla continuità del lavoro, ottenendo garanzie e migliorìe, facendo in tal modo accettare una buona collaborazione, fra Autorità Militare e Commissione di lavoratori. Tutto ciò costituirà un ottimo trampolino di lancio per future operazioni come vedremo. Si nominano i vari componenti le commissioni politiche, organizzative e sindacali. Quest’ultima viene affidata a Emilio Lievore che valendosi dell’opera di Gioacchino Roscini e di altri, agisce decisamente nei confronti dei funzionari sindacali della provincia e dichiara loro, senza tanti ambagi, che i Sindacati non sono più ora proprietà del Partito Fascista, ma esclusivamente dei lavoratori e che pertanto devono considerarsi a disposizione dei lavoratori stessi.

 

Il "Comitato"

 

La commissione politica prende contatto con i dirigenti degli altri gruppi politici, costituendo fin dalla prima riunione un comitato antifascista antesignano del C.L.N.

 

Detto comitato composto dai proff. Mario Dal Prà, Licisco Magagnato, Sergio Perin e Remo Pranovi per il Partito d’Azione; Marcello De Maria e l’avv. Mario Segala per il Partito Socialista; Gino Cerchio, Giordano e Carlo Campagnolo, Antonio Emilio Lievore per il PCI, si mise subito all’opera nel produrre e distribuire materiale propagandistico e nell’assumersi la responsabilità e la continuità dell’uscita del quotidiano locale “Il Giornale di Vicenza”, tramite la Commissione Interna, formata da Gino Cerchio, che collabora con Antonio Barolini nominato Direttore.

 

Barolini notissimo letterato e scrittore godeva della piena fiducia del Comitato Antifascista. Nella sua opera Barolini ebbe la valida collaborazione di vari amici, fra cui Neri Pozza che lo aiutava con suggerimenti e consigli. Opera tanto apprezzata se si pensa ai duri contrasti con il Colonnello, custode dell’impianto, che non voleva approvare gli articoli antifascisti, così che il giornale usciva con numerosi spazi bianchi con la parola “censura”.

 

Il 10 Agosto 1943 si insedia a Vicenza il nuovo Prefetto Badogliano dott. Pio Gloria e il comitato antifascista comincia le sue numerose visite, ma poiché i partiti non sono ancora ammessi aggira l’ostacolo e ci si presenta come autorevoli cittadini. Faccio, Dal Prà, Segala, Gino Cerchio e Giordano Campagnolo chiedono al Prefetto la liberazione di tutti gli antifascisti detenuti nel carcere locale, l’arresto dei fascisti tuttora in libertà, la cessazione del coprifuoco, la libertà di stampa e l’aumento delle razioni alimentari.

 

Chiediamo molto e siamo consapevoli che mai avremmo potuto ottenere tutto anche perché gran parte di ciò esulava dai poteri prefettizi. Ma si ribadisce il concetto di passare dal regime totalitario a quellio essenzialmente democratico. Escono gli autorevoli cittadini ed entra Emilio Lievore con una delegazione di lavoratori, rappresentanti sindacali di Arzignano, Schio, Valdagno e Vicenza, rientrano anche Gino e Giordano Campagnolo e, poiché la discussione si fa piuttosto burrascosa, si chiede al Prefetto ancora di più di quello che era stato chiesto in precedenza e cioè: aumenti salariali, aumenti delle razioni alimentari e dei generi  di abbigliamento e l’esproprio della sede dei Sindacati Fascisti in Via IV Novembre per affidarla ai rappresentanti operai; Giordano e Gino nella foga della discussione stessa vengono notati dal Prefetto che, con una punta d’arguzia, rispondendo alle richieste, dice: “Mi pare che siate in tanti anche se qualcuno mi sembra di averlo già conosciuto”.

 

Lievore pronto risponde che, se le richieste non verranno accolte, all’indomani saremmo andati in quaranta, cosa che avvenne! Comunque sia, il Prefetto Gloria, alle nostre richieste non disse mai ne sì né no e noi non abbiamo mai compreso se fosse o no consapevole dell’alto incarico a cui era preposto. Molto probabilmente era al corrente più di noi della precaria situazione generale.

 

Stampa e propaganda

 

Urgeva per intanto mantenere viva la stampa antifascista e fu organizzata l’uscita quasi regolare de “La voce del Popolo” e “Nostra Lotta” periodico a carattere sindacale. Le due pubblicazioni uscivano stampate in ciclostile ed erano sempre di almeno quattro facciate, la redazione competeva a Gino, con Sergio Perin, ecc. Vi collaboravano tutti i compagni con notizie ed articoli: editorialmente veniva realizzato da Remo Pranovi, Nellj Walter e Giordano Campagnolo sempre con la collaborazione di numerosi compagni per la distribuzione.

 

Scrive Giuseppe Gaddi nel suo “Saggio sulla stampa clandestina della Resistenza veneta”, edizioni Athena, Bologna 1955: “I Vicentini possono vantarsi di aver dato alla luce il primissimo giornalino della Resistenza veneta. Al Museo del Risorgimento di Monte Berico, infatti, si può vedere il loro foglietto ciclostilato “Voce del Popolo” che usciva clandestinamente già nel periodo badogliano, diffuso in edizione straordinaria la sera dell’8 settembre 1943. Sul giornale è indicato persino il momento dell’uscita, ore 19,45, immediatamente dopo l’annuncio dato per radio della conclusione dell’armistizio”.

 

Venivano pure stampate cartoline riproducenti  Giacomo Matteotti e nell’officina di Bruno Campagnolo si coniavano medaglie in rame con la medesima effige. Cartoline e medaglioni venivano venduti  ad un modico prezzo allo scopo di sopperire alle spese organizzative.

 

Il rientro di Marchioro

 

Domenico Marchioro ex deputato comunista processato e condannato assieme a Gramsci nel 1926, rientra a Schio nell’agosto 1943 dopo diciassette anni fra carcere e confino. Gli esponenti provinciali del PCI ritenendolo perciò il più agguerrito e capace, gli affidano, anche per una naturale e comprensibile deferenza, la Segreteria provinciale del Partito.

 

Nel campo sindacale si hanno i primi risultati, favoriti dalla stanchezza insopportabile dei lavoratori esasperati dalle precedenti restrizioni e costrizioni fasciste, tutt’ora in vigore, ma soprattutto dall’alacre propaganda dei compagni sindacalisti. Lievore che, come autista di autolinee effettua il servizio fra Vicenza e Bassano, approfitta delle ore libere e prende contatto con i compagni delle Smalterie Venete.

 

Con la loro collaborazione il 2/9/1943 forma la Commissione Interna di cui capo riconosciuto è Passuello, anziano militante del PCI. Usufruendo della comprensione della Direzione delle Smalterie (di nazionalità cecoslovacca) che accetta molte delle rivendicazioni proposte, si stabilisce un nuovo clima fra dirigenti e maestranze.

 

Un nuovo clima

 

Naturalmente queste conquiste sindacali ottenute (commissioni al Giornale di Vicenza, alle Smalterie Venete e altre che si susseguono e si profilano) hanno una favorevole risonanza negli stabilimenti di Schio, Valdagno, Arzignano e nella stessa città di Vicenza: si stava già formando una nuova mentalità democratica, sindacale e antifascista che avrebbe dato i suoi frutti, preparando i giovani che non avevano altre cognizioni politiche e sindacali che quelle fasciste, a capire e accettare la democrazia.

 

Intanto i partiti che avevano costituito delle direzioni provinciali si stavano rinforzando anche nelle sezioni locali e periferiche. Anche la sezione stampa si stava sviluppando, ma la mancanza di fondi non permetteva di usufruire delle tipografie; così si continuò con la stampa ciclostilata.

 

Nella situazione fluttuante e incerta durata per i 45 giorni Badogliani, i contrasti tra le autorità civili e militari immature ed evidentemente impreparate e i rappresentanti dei partiti antifascisti che erano uomini che già avevano avuto una educazione e preparazione politica e sindacale pre-fascismo, si infittivano sempre più sfociando in dispute senza profitto.

 

Tipi di razza

 

Per meglio caratterizzare il periodo Badogliano basterà ricordare l’episodio capitato a Giordano il giorno in cui, accompagnato da Gabetti come testimone, andò all’Ufficio delo Stato Civile per denunciare la nascita della sua primogenita, Lauretta, avvenuta il 2 Agosto 1943. Fra le altre domande di risalto i due si sentirono chiedere dall’impiegato se era di razza ariana. I due risposero all’unisono che a questa domanda non avrebbero data alcuna risposta, in quanto ciò presupponeva accettare una offensiva e degradante legge fascista che, come tale, avrebbe dovuto essere stata soppressa dal Governo Badogliano. Ecco il motivo per cui venne composto l’articolo “Fino a dove…?” apparso sulla “Voce del Popolo”.

 

La situazione precipita

 

L’8 Settembre a Vicenza è una festività locale di grande importanza. Si festeggia la Madonna del Santuario  o Basilica di Monte Berico, dove affluiscono, fin dall’alba, decine di migliaia di devoti pellegrini, da tutta la provincia. Quel giorno, del 1943, assume una maggiore importanza derivante dal fatto che il dì precedente aveva fatto il suo ingresso nella Diocesi di Vicenza, il novello Vescovo Mons. Carlo Zinato, che andrà nel pomeriggio dell’8 a celebrare i Vesperi Solenni nella Basilica di Monte Berico. La Basilica e l’attiguo grande Piazzale della Vittoria sono gremiti da 50.000 fedeli circa, che pregano affinchè torni dopo tanti lutti e sofferenze patite, la sospirata pace.

 

L’annuncio dell’armistizio viene diffuso di bocca in bocca, pare quasi impossibile e per averne conferma Giordano ed Emilio Lievore si recano dal dott. Carlo Cencini (liberale ma che faceva parte del nostro gruppo recando un notevole contributo personale ed infatti un suo figliolo passerà diversi mesi in carcere).

 

Prime riunioni

 

Il dott. Cencini sintonizza la radio su una emittente francese, traduce e ci conferma la notizia. Febbrile riunione del Comitato; si stampano due manifestini straordinari ed uno in tedesco, che viene distribuito ai militari germanici di nazionalità austriaca di stanza a Saviabona.Esultanza di questi che pensano alla fine della guerra; alla sera del 9 infatti fraternizzano con la popolazione, scambiandosi numerosi bicchieri di vino. Il 10 Settembre, alla sera, riunione del comitato antifascista in casa di Mariano Rossi, per l’esame della situazione che, secondo le notizie pervenute, sta peggiorando. Scontri fra italiani e tedeschi avvengono più o meno in tutta Italia.

 

Il Comitato Militare

 

Viene nominato un Comitato militare che, capeggiato da Gino Cerchio e Mario Dal Prà, al mattino successivo si reca dal comandante del Presidio a chiedere la consegna delle armi da distribuire alla popolazione in fermento, che sostenuta dall’apparato politico, è decisa ad opporsi all’invasione tedesca, ottenendo un netto quanto sgarbato rifiuto e minacce di severe sanzioni. Evidentemente la sua mentalità militare non aveva ancora compreso che da quel momento il nemico da combattere era l’invasore tedesco.

 

Si dovette perciò ripiegare alla raccolta di armi più disparate, abbandonate dall’esercito in sfacelo. Il Comitato militare mobilita gli uomini per la raccolta delle armi e munizioni, si organizza l’aiuto agli sbandati e la raccolta di taluni elementi da avviare verso la montagna. I migliori elementi si prodigano a dare inizio a quella che sarà la Resistenza, la lotta armata del popolo.

 

A Schio i compagni si impossessano di alcune armi da un treno militare incustodito e con questo costituiscono un primo gruppo armato a S.Caterina di Tretto.

 

E i tedeschi?

 

E veniamo al comportamento dei tedeschi, accampati nelle zone periferiche. Corre voce che i loro comandanti avrebbero informato le autorità cittadine di considerare Vicenza città aperta, purchè la popolazione rimanesse tranquilla; senonchè all’alba dell’11 Settembre, appoggiati da forze corazzate, irrompono nelle caserme e al campo di aviazione, rastrellando i militari italiani rimasti. Comincia così la triste odissea dei campi di concentramento da tutti conosciuta. Gianni Marostegan penetra nel campo d’aviazione, danneggia tre aerei e ne asporta le armi ed i piloti automatici.

 

Gli elementi antifascisti, fra i quali Segala, Cerchio, Lievore, Marchioro e Barolini, che nei 45 giorni precedenti si erano maggiormente esposti, si allontanarono dalla città. Altri come Dal Prà si nascosero in cas di amici. Il Giornale di Vicenza esce senza nessuna indicazione del direttore il 12 Settembre 1943 e dal 13 compreso fino al 27 compreso, con la dicitura tipografia del giornale. Del nostro gruppo rimase soltanto Giordano Campagnolo a tenere le fila e dirigere l’organizzazione, convinto che in un suo eventuale arresto, egli avrebbe sostenuto che la sua opera politica era stata svolta esclusivamente in antitesi al governo badogliano.

 

Infatti così si difese due mesi dopo al suo primo arresto. Cerchio e Lievore, rifugiati a Campolongo dei Berici, mantengono i contatti, tramite il personale dell’autolinea Vicenza-S.Germano dei Berici. A Vicenza i fascisti imprigionati (ironia della data) l’8 Settembre, vengono scarcerati il 12, dai loro camerati tedeschi. Al 13 Settembre il Podestà Lampertico, in carica dal 22 aprile 1940, fa affiggere un manifesto, diretto alla popolazione che molto probabilmente è quello per cui viene sostituito il 16/10/1943 dall’ing. Giulio Dolcetta.

 

Nerina Sasso

 

Il 13 Settembre 1943 alle ore 15 cadeva sotto il piombo tedesco una giovane vita vicentina, Nerina Sasso, di anni 21. Essa era colpevole, agli occhi dei nemici tedeschi, di aver portato dell’acqua e del pane, ai soldati italiani, rinchiusi nei vagoni piombati di un treno in sosta al semaforo, nei pressi della Chiesa della Madonna della Pace, e di averli incitati a fuggire, per evitare l’internamento in Germania. (…) , Prima vittima per Vicenza, della brutalità tedesca dopo l’8 Settembre; inizia così, con la sua tragica fine, il martirio di innumerevoli innocenti, che si concluderà alla fine di aprile del 1945.

 

Arresti e blandizie

 

Il 17 Settembre i fascisti, rialzano la testa, che per i 45 giorni avevano tenuto molto abbassata, si riuniscono al Palazzo Littorio e si danno un Federale nella persona di Bruno Mazzaggio. Al 21 Settembre Neos Dinale rioccupa la poltrona di Prefetto della Provincia. Sette giorni dopo, 28 Settembre, Angelo Berenzi assume la responsabilità del giornale locale che cambia la testata in “Il Popolo Vicentino”. Per calmare le ansie della popolazione, il giornale continua a pubblicare note distensive e ottimistiche sulla sorte dei militari italiani deportati, ma contemporaneamente i fascisti sfogano la loro rabbia arrestando a destra e a manca gli avversari politici.

 

Fra i primi notiamo Fiorenzo Costalunga e l’avv. Mario Rezzara, Direttore delle Tramvie Vicentine, che al 26 Luglio aveva fatto abbattere le insegne littorie che ornavano (si fa per dire) la grande tettoia della stazione tramviaria di Vicenza, emanando lo stesso giorno una circolare, al personale, con cui si esaltava la libertà riconquistata ed il reingresso dell’Italia nel novero delle Nazioni civili. E ciò per i fascisti era assolutamente inconcepibile; infatti dopo averlo imprigionato montano una campagna diffamatoria sulla stampa locale. Lo chiamano “Il Mago Baku” e approfittano di un bombardamento per saccheggiare la sua abitazione. Fortunatamente il figlio Giovanni Battista riesce ad eclissarsi in tempo partecipando in seguito alla lotta di liberazione.

 

Vengono ricercati anche Lievore, Cerchio e Marchioro, ma i funzionari del Sindacato Fascista difendono l’operato di Lievore e Cerchio in modo da far cadere le accuse formulate contro di loro. Fanno inoltre sapere che i due possono ritornare liberamente. Successivamente si capirà che tale atteggiamento non era del tutto disinteressato, in quanto si cercava di avere la loro collaborazione in campo sindacale, visti i risultati ottenuti nelle Commissioni Interne realizzate.

 

Ritornano perciò Lievore, che riprende il suo lavoro alla SITA, Cerchio e dopo alcuni giorni anche Marchioro, che preferiscono però restare ugualmente nascosti in casa di amici. Gino in casa Campagnolo e Marchioro in casa di Pietro Peruffo. Giordano cede nuovamente il timone a Domenico Marchioro che, riprende i contatti, con gli altri componenti del Comitato Interpartitico, diventato C.L.N.P. e che registra proprio in quei giorni l’ingresso come rappresentante della D.C. di una delle sue più belle figure e cioè di Torquato Fraccon di cui parleremo più avanti. Egli avrà poi, in seguito come collaboratori e sostituti Giustino Nicoletti, Giacomo Rumor e Giuseppe Cadore.

 

Sulla base di valutazioni ottimistiche a proposito di un articolo, apparso su “Il Popolo Vicentino” del 10 Ottobre 1943 Domenico Marchioro incarica perentoriamente Lievore di partecipare alle riunioni sindacali indette nella “Casa dei Lavoratori”, nella mattinata di domenica 3 Ottobre. Emilio avrebbe dovuto non solo presentarsi come esponente dei lavoratori, ma addirittura come antifascista. Nelle prime riunioni è permesso ai rappresentanti le varie correnti, di esprimere liberamente le proprie opinioni e avanzare delle proposte.

 

Contatti pericolosi

 

Come si prevedeva però, tali proposte erano inaccettabili per i sindacalisti fascisti, quindi nessuna realizzazione possibile. Infatti, al termine della riunione, Emilio ed altri che avevano partecipato alla discussione, vengono intercettati dall’ing. Bossini (Segretario del Sindacato Fascista) e dall’avvocato Uderzo (dell’Ufficio Legale del Sindacato stesso).

 

Nel corso della conversazione piuttosto burrascosa che ne seguì, l’avvocato Uderzo insiste sulla necessità della piena collaborazione con i tedeschi, sia per ragioni di opportunità, sia per evitare delle rappresaglie; Emilio Lievore, a nome della sua corrente, prende una netta posizione di rifiuto, negando ogni possibile compromesso. Sostiene che, essendo il paese invaso dai tedeschi, noi siamo i loro prigioneri e come tali non dobbiamo aiutarli a fare degli altri prigionieri, perché in tal caso saremmo dei traditori del nostro paese; così facendo Emilio si riallacciava alla tesi sostenuta da Giordano Campagnolo e Gino Cerchio, che negavano qualsiasi forma di collaborazione con i tedeschi in evidente contrasto con la tesi Marchioro.

 

Continua intanto l’attività politico militare in collaborazione con altri antifascisti sempre tesa allo sviluppo della lotta contro i tedeschi, alla raccolta di armi, ad aiuti agli sbandati. Fu possibile anche salvare diversi prigionieri alleati e inviarli a mezzo di autocorriere a Trieste e in seguito in Jugoslavia; si perfezionavano e rafforzavano i contatti con gli esponenti degli altri partiti antifascisti, elaborando piani di lavoro e scambiandosi notizie e disposizioni.

 

L’apparato stampa che intensifica l’edizione di due periodici, che possiamo definire tali sia per l’abbondanza degli argomenti trattati, che per l’esecuzione editoriale sia pure in ciclostile: “Voce del Popolo” ora controllato da Marchioro, e “La Nostra Lotta” a carattere sindacale, con più ampia partecipazione di compagni, che stilò e stampò 35 edizioni di manifestini, che oltre a riportare le normali argomentazioni, rispecchiavano anche singoli problemi di fabbriche.

 

La mole della stampa e la sua buona riuscita era sempre affidata a Giordano e a Pranovi. Il Partito d’Azione stampa “I fratelli d’Italia”, mentre la D.C. sotto la spinta di Torquato Fraccon, stamperà successivamente e cioè dal giugno 1944 “Il Momento Vicentino” che sarà poi diretto e redatto dal prof. Mariano Rumor. Anni dopo egli definì “Il Momento Vicentino” molto artigianale sia tipograficamente che editorialmente, ma a noi abituati al ciclostile ci sembrarono ottime pubblicazioni per quei tempi.

 

Prestito Patriottico

 

Mancando i fondi, Giordano Campagnolo ideava e disegnava un buono prestito che Vittorio Giordana, litografo torinese realizzava in tre colori, con l’attrezzatura del suo posto di lavoro.  Detti buoni, con un fondo di una Italia geografica erano stampigliati come Prestito Patriottico con madre e figlia numerati progressivamente; essi erano anche punzonati in rilievo.

 

Il Comando Militare Provinciale presieduto prima dal colonnello D’Aiello e poi dal maggiore Malfatti come tecnico militare, si perfezionava nei suoi quadri e nella organicità del suo lavoro, studiando un programma di lavoro e piani di azioni belliche; divide la Provincia nei settori territoriali di Arzignano, Valdagno, Schio, Bassano, Camisano, Barbarano, Lonigo, affidati ciascuno ad un responsabile politico con una funzione distrettuale nel senso più ampio della parola.

 

Malfatti è incaricato di conferire con il C.L.N.P. come rappresentante del Comando. Il nostro compagno Gino Cerchio farà parte del Comando, prima come incaricato informazioni, in seguito come “Ufficio Operazioni”, infine come Vice Comandante Provinciale e Capo di Stato Maggiore. Tra l’altro si esamina un piano portato dall’ing. Rigoni, per l’occupazione dell’altopiano di Asiago, da tenere con le forze partigiane, aiutate logisticamente dagli aerei alleati, piano seducente nella sua concezione, ma inattuabile in pratica (il piano fu studiato e redatto dal Gen. Maglietta).

 

Contatti esterni

 

I contatti con i gruppi non più sbandati, ma già in formazione, che si distinguono per la loro organizzazione si mantengono. Mancano a tutti però l’esperienza della lotta partigiana. Giordano e Mariano Rossi avvertono la necessità di un contatto con gli Alleati e con i partigiani jugoslavi. Discussione aspra con Marchioro, che prevede imminente l’arrivo degli eserciti alleati e ritiene superflua tale necessità.

 

Marchioro è sempre il Marchioro intransigente, e il “Tabù” vuole bocciare la proposta, senonchè questa viene avanzata a titolo precauzionale e così viene approvata. Vengono perciò inviati due emissari, Ferruccio De Marco (Lupo) e G.Rossi, a Fiume e uno, Pilati Beniamino, che aveva buone conoscenze ad Avezzano, in quella località, per tentare di passare le linee. Pilati Beniamino ritorna negli ultimi giorni di novembre, ci riferisce di aver parlato con l’O.S.S. americana, sono perplessi, non sanno cosa fare, comunque suggeriscono di tenersi pronti a ricevere quanto prima una loro missione.

 

Ciò ci delude un po’; anche Gino ritorna dopo un viaggio a Torino in cui si era messo in contatto con il Comando presieduto dal Gen. Perotti, anche là erano confusi e si davano da fare pressappoco come noi. Per fortuna i due inviati a Fiume sono tornati qualche giorno prima con un capo partigiano sloveno. La missione jugoslava viene ospitata a Vicenza a cura di Oddo Cappannari e dopo, in seguito al suo arresto, cambia varie volte abitazione sempre in case di compagni sicuri.

 

La missione è capeggiata da Berto (Urban Vratusa) e si avvale dell’opera di due belle e brave staffette di cui ricordiamo solo il nome di una (Neva), che a quanto ci risulta morirà durante un rastrellamento nella sua patria. Acquisiamo da Berto utilissime indicazioni e suggerimenti per poter affrontare il nemico comune. Portatosi con Emilio a Bassano del Grappa, lo dissuade con molti esempi pratici dal proposito di costituire gruppi di armati sul Grappa. Fa presente che la vegetazione insufficiente, la mancanza d’acqua e soprattutto la zona spopolata, non permettono la sopravvivenza e la mimetizzazione necessaria per forti gruppi. Infatti gli fa osservare che la guerra partigiana non è fatta per gli attacchi frontali, o la difesa statica, ma a somiglianza di quella jugoslava formatasi con dolorose esperienze in molti mesi di lotta, deve essere fatta di veloci colpi di mano e poi subito allontanarsi dalla zona nascondendosi in buche sottoterra, meglio se sopra la buca c’è un grosso albero.

 

Pertanto ripete ancora, è del tutto sconsigliabile tenere forti gruppi armati in quella zona. La mancanza quasi totale di armi pesanti, non permetteva azioni militari di un certo rilievo; ci si limitò almeno i primi tempi alla ricerca di viveri, vestiario, denaro per quanto possibile, armi, da distribuire alle costituite formazioni.

 

Oltre S.Caterina di Tretto, a Salcedo, si era costituita un’altra formazione organizzata. Le azioni dei vari gruppi, erano sporadiche ed incontrollate, mancando un fermo rapporto con il Comando Provinciale, questo per lo spirito di anarchia creatosi nelle formazioni e nei loro comandanti, non ancora preparati politicamente e militarmente.

 

Ci sono da segnalare inoltre molte formazioni, createsi  spontaneamente qua e là in tutta la provincia. Renato Ageno, Benedetto Galla, Gaetano Galla, Giuriolo, Meneghello, sono alcuni nomi attorno ai quali gravitano ottimi elementi di ogni estrazione politica.

 

Gioventù cattolica

 

Si verificò un fatto: verso la metà di Settembre 1943 due mitragliatrici manovrate da giovani cattolici, guidati da Giorgio Mainardi, spararono alcune raffiche, nella stazione ferroviaria di Vicenza, recando grande confusione agli armati fascisti presenti, senza danno alle persone, facendo qualche buco nei vagoni e nei muri. Mainardi si metteva in contatto con Giordano e gli faceva avere le due mitragliatrici che, in un primo tempo furono messe da Alessandro Stefani nella cabina di proiezione del Cinema Italia, dove l’operatore era costretto a fare miracoli di equilibrismo per poter svolgere il suo lavoro. Successivamente vennero occultate nel sottobanco del negozio di giornali e tabacchi di Giordano per essere poi messe in una cassa di cartone e legno da Bruno Campagnolo, furono inviate a Salcedo con un pulman di servizio guidaqto da Roscini che caricò e scaricò le armi.  Giorgio Mainardi non potendo sopportare l’inattività, che gli era stata suggerita, partiva successivamente per il Sud. Egli cadeva il 23/11/1943 a Castel di Sangro (L’Aquila) in uno scontro con i tedeschi ed il suo sacrificio è ricordato in una lapide al Liceo Pigafetta di Vicenza.

 

Situazione fluida

 

La situazione politica era ancora fluida tanto da permettere contatti a determinati livelli tra i repubblichini e gli antifascisti. Tramite la mamma di Mariano Rossi, notissima professoressa vicentina, Carlo e Giordano Campagnolo prendono contatto con la signora Mila Angelini che abitava a Villa delle Rose al Tormeno e che ci sarà molto utile date le innumerevoli e influenti conoscenze che aveva. Subito dopo, Emilio Lievore, nostro esponente sindacale, viene invitato a Villa delle Rose, al Tormeno, da questa signora, per uno scambio di idee e un confronto sui problemi sindacali. In pratica un confronto o uno scontro tra Lievore e Caneva. L’accettazione dell’invito veniva sempre rimandata per buone ragioni politiche, finchè, sfidato a mostrare il proprio coraggio, Lievore accetta l’incontro purchè avvenga su terreno neutro ed alla presenza di un compagno come testimone.

 

Uno strano incontro

 

E così nella sede dei Sindacati (Casa dei Lavoratori) in Via IV Novembre Lievore, accompagnato da Giordano, si incontrò con Giovanni Caneva. Questi, a cui era stata illustrata l’operosità e l’azione della Commissione Interna delle Smalterie di Bassano del Grappa, propose a Lievore di impostare un’azione sindacale a favore della Repubblica di Salò, mettendogli a disposizione uffici, trasporti e stipendi; il tutto viene rifiutato categoricamente.

 

A Caneva, che insistentemente richiedeva spiegazioni sul comportamento degli antifascisti, Lievore fa rilevare chiaramente l’incompatibilità e l’impossibile collaborazione tra i neofascisti e i comunisti. Caneva, dopo le chiare dichiarazioni minaccia ritorsioni e di dare una giusta punizione ai riottosi interlocutori. Lievore, per nulla turbato da ciò conferma quanto detto in precedenza e fa osservare la notevole differenza del loro pensiero, soggiungendo che finora non era ancora stata emanata una legge che vietasse di pensare contro il fascismo e come tale come un reato da perseguire.

 

Il federale rimane colpito dalla fermezza degli avversari, tanto da impegnarsi di non approfittare di quanto era stato discusso e dichiarato, impegno mantenuto in varie occasioni, tanto che Giordano Campagnolo, arrestato due volte, viene rimesso in libertà su intervento di Caneva, tramite la sopracitata signora Angelini.

 

Caneva, che si era visto rifiutare ogni possibile collaborazione, da parte degli organizzatori antifascisti, poiché costoro non intendevano diventare dei collaboratori del nemico combattuto per anni, le cui teorie non erano mai state accettate, successivamente invitò ancora una volta a casa sua Gino e Giordano; non avendo dubbi sulla lealtà di Caneva, né valutando l’errore che commettevano con il mettersi in evidenza, accettavano l’invito. La discussione fu lunga, accalorata, di argomento politico che però lasciò i presenti fermi nelle loro convinzioni.

 

A Giordano fu possibile incontrare due o tre volte in casa Angelini un grosso gerarca, Olo Nunzi, che abitava in una villa vicino a Monte Berico. L’ultimo colloquio avvenne la sera del 15 Novembre 1943, quando quest’ultimo, entrando in casa Angelini, annunciò trionfante di essere tornato dall’aver partecipato all’eccidio di Ferrara, dando i particolari e mettendo in risalto che tutti i quindici morti erano degli industriali e avvocati già fascisti e perciò traditori. Nessun operaio o antifascista era stato molestato per questa ragione. Vedete bene, questa è giustizia sociale, concluse.

 

Ciechi di furore

 

Comprendemmo allora che essi erano invasati da un furore tremendo contro chi in definitiva non aveva commesso niente contro il regime fascista. Esso era crollato di sua propria mano. Tale loro atteggiamento era motivato forse dal fatto che avevano cessato di essere dei privilegiati? O forse perché attratti da nuove patenti d’autorità, concesse dai nuovi padroni dell’Italia?

 

Quello che è certo è che da quei momenti, noi dovemmo affrontare un nuovo nemico, più feroce dei tedeschi stessi, molto più subdolo dato che era, amaro a dirsi, fra la nostra stessa gente. E’ in tal modo che essi provocarono e ci imposero quella che doveva diventare una guerra fratricida. Inutile dire che i contatti fra noi e loro cessarono del tutto, tanto più che il 15 Novembre 1943 Graziani lancia un appello, ai giovani chiamati alle armi delle classi 1924-1925, per radio e sui giornali, che rimarrà pressochè inascoltato.

 

Soccorso Rosso

 

Nel frattempo la persecuzione fascista si accentuava infierendo sui nostri compagni e diversi furono imprigionati. Si riforma così il Comitato del Soccorso Rosso, affidato da Giordano a Olimpia Menegatti, Lucia Peruffo, Edila Balbi, Ida Martello. Come si vede tutte donne affinchè il compito fosse facilitato e mimetizzato. Giordano procura tramite Antonio Morbin 400 tessere annonarie e si formano dei depositi di viveri con cui si manda giornalmente da mangiare ai detenuti antifascisti nelle carceri di San Biagio. Il Soccorso Rosso funzionò impeccabilmente fino al 25 Aprile 1945. Fummo facilitati anche dal fatto che due secondini ci aiutarono in specie mantenendoci collegati con i prigionieri mentre gli altri Partiti avevano collegamenti speciali. Tutto questo verrà utile, come vedremo in seguito.

 

G.A.P. sciopero

 

In principio dell’anno 1944, da notizie pervenute si ebbe la certezza che i lavoratori di Torino e di altre città, sarebbero scesi in sciopero all’inizio della primavera. L’apparato politico e quello sindacale riuniti decidono di preparare una manifestazione che appoggi anche nella provincia di Vicenza le agitazioni dei lavoratori. Si costituisce un comitato con il compito di preparare e guidare lo sciopero nella sua riuscita.

 

Giordano, Vittorio, i Campagnolo, cureranno la Valle dell’Agno ed Emilio Lievore manterrà i contatti con Schio, inoltre curerà anche Bassano. Vicenza resta a Gino Cerchio che agirà come coordinatore, aiutato dai compagni Dorio, Zanchetta, Pegoraro, Fornasetti, Olimpia Menegatti e Mario Bubola.

 

Intanto le squadre militari dirette da Plinio Quirici, Nozze Aquilino, Segato ed altri, con scritte murali ed atti di disturbo, cercando di far lievitare la massa dei lavoratori non ancora abbastanza unita.

 

Alberto (Nello Boscagli), giunto a Vicenza come tecnico per i GAP (Gruppi di Azione Partigiana, n.d.c.), procura qualche bomba e ne insegna l’uso. Gli ordigni che vennero collocati nella ferrovia di Schio a Povolaro sulle rotaie della linea di Bassano e sui tralicci di San Felice, sia per la poca esperienza degli operatori, sia per la scarsità degli esplosivi, non fecero grande danno, ma suscitarono un certo interesse, ravvivando lo spirito di resistenza.

 

Un botto dimostrativo

 

A queste prime azioni sul terreno operarono Gino, Gianni Marostegan, Busatta e Quirici. Tanto per dare un brillante inizio ed un valevole appoggio all’azione politica e sindacale, si decide un’azione che abbia una certa risonanza e di effetto. Con la collaborazione dei vari compagni, viene preparata una grossa bomba, 12 tubetti di tritolo. Plinio procura l’involucro, un tubo di ghisa lungo 30 cm. E diametro 12  a cui vengono fissati due fondelli di ferro e una miccia ad accensione, ed al 31 Gennaio Gino Cerchio e Gianni Marostegan, dopo il coprifuoco delle ore 22, percorsa la periferia di San Bortolo, attraverso i giardini di Palazzo Querini, raggiungono un lato di Palazzo Folco, calano l’ordigno in una finestra del pian terreno, dove esisteva e funzionava l’ufficio con tutto l’archivio antifascista.

 

Accesa la miccia, i due si allontanavano attraverso la stessa via e dopo essere sfuggiti alle pattuglie nemiche in allarme e dopo peripezie varie, raggiungevano la casa di Gianni, dove li attendeva Aramin, rimasto di guardia alle retrovie. Lo scoppio distrusse interamente tutto il materiale già raccolto: liste di nomi antifascisti e piani di lotta. Tutto lo schedario antifascista della polizia.

 

Ne parla la stampa

 

Il Popolo Vicentino del 29 Gennaio 1944, in seconda pagina, V colonna, riportava la notizia: “…delittuoso gesto dei prezzolati del nemico. Lo scoppio di un ordigno nella “Casa Littoria”. L’altra notte alle ore 0,5 una forte detonazione veniva avvertita da gran parte dei cittadini, svegliati di soprassalto. La deflagrazione era dovuta allo scoppio di un ordigno esplosivo posto da mani delittuose ad una finestra di Palazzo Folco, sede della Federazione Provinciale dei Fasci Repubblicani e precisamente nell’ala sinistra ove hanno sede gli uffici di assistenza. Fra la Casa Littoria e Palazzo Querini vi è un breve cortiletto chiuso da un cancello di ferro; introdottisi il criminale o i criminali, vi hanno deposto la bomba, probabilmente munita di miccia, eclissandosi poi nell’oscurità.

 

Lo scoppio ha prodotto danno ai locali sventrando una finestra, demolendo un piccolo tratto di muro, frantumando i vetri. Il Commissario Federale che lavorava nel suo ufficio, posto al piano superiore, è sceso immediatamente per verificare i danni, disponendo per la custodia del materiale assistenziale. Sul posto si è prontamente recato il Commissario Dott. Sant’Elia della nostra Questura. Sono in corso attive indagine per identificare mandanti e autori del vigliacco gesto che non è che un anello di quella catena di tradimenti che tende a turbare l’ordine mentre la Patria sta svolgendo ogni suo sforzo per la ricostruzione e la rivincita”.

 

In corsivo segue una nota: “In seguito allo scoppio dell’ordigno esplosivo che ha danneggiato gli uffici assistenziali, la federazione dei fasci repubblicani avverte che ogni assistenza è sospesa fino a nuovo ordine”.

 

Il colpo è gravemente accusato dai fascisti che devono giustificarsi davanti alla popolazione accusando gli attentatori di avere distrutto l’elenco dei bisognosi (elenco che viene immediatamente sorvegliato subito dopo lo scoppio) tanto era importante il materiale semidistrutto e, come rappresaglia verso la popolazione, si procede alla sospensione dell’elargizione temporanea dell’assistenza.

 

Missione alleata

 

Arriva intanto dopo qualche tempo a Vicenza il fratello di Rocco della M.R.S. (Marini-Rocco-Service), inviato dagli Alleati per prendere i necessari contatti con le forze della Resistenza. Ancora oggi non sappiamo se ciò sia il seguito di quanto ha riferito Beniamino Pilati. Elio Rocco ritrova Ines una sua compagna di studio, di quando discutevano con molto calore sulla condizione operaia in Italia. Ella infatti è competentissima in materia in quanto è la figlia di una modesta operaia tessile che tutta la vita offrì alla causa antifascista.

 

Rocco perciò sa che può fidarsi e accetta i contatti ospitali che gli vengono offerti dalla mamma di Ines, la nostra cara indimenticabile Olimpia Menegatti. La sua povera abitazione è già il nostro luogo di convegno e diverrà col tempo sempre più importante. Viene pertanto spontaneo alla Olimpia di convincere il Rocco che egli è capitato proprio nel punto giusto.

 

Viene così comunicato a Marchioro la possibilità di questo collegamento, ma egli, sempre ottimista, non solo la rifiuta, ma non la fa conoscere al Regionale Veneto. Olimpia, a mezzo di Emilio, comunica con Gino, che subito afferrata la possibilità di avere rifornimenti in armi e materiali, perfeziona i contatti i quali avvengono con un altro componente la Missione, il tenente Marini, essendo il Rocco occupato in altra località.

 

Anche Gino però non informa i maggiorenti del PCI regionale. Stentatamente riesce ad ottenere dopo ampie assicurazioni e garanzie di Lievore, la coordinata di un campo di lancio nei monti sopra Schio, vengono fissate le frasi: “Gino aspetta sempre”, negativo, “L’uva è matura”, positivo.

 

Il lancio non ebbe troppo buon esito per la scarsa preparazione dei riceventi e la incomprensione dei compagni dirigenti del PCI. Come ricordiamo i messaggi erano il negativo la preparazione del campo, il positivo il lancio nella notte stessa. Il fatto però di avere scavalcato la segreteria senza passare attraverso il Regionale provoca un forte risentimento in Marchioro, che decide di allontanare Gino relegandolo a Sandrigo.

 

I membri della segreteria protestano vivamente, ma per varie ragioni non ottengono che si ritorni sulla decisione presa. Scoppiano più vivi i contrasti con Marchioro, valente teorico, ma dopo lunghi anni di carcere non più troppo aderente alla realtà dei fatti; perciò la sezione politica decide di immettere in un gruppo dirigente provinciale con Giordano Campagnolo ed altri compagni che già ne facevano parte fin dal 25 Luglio, Campagnolo Carlo, Lievore Emilio, Dorio Vittorio e Pegoraro nella città di Vicenza, Baron, i fratelli Lievore e altri a Schio. Marchioro poco dopo si allontana definitivamente da Vicenza. Venimmo a sapere che aveva fortunosamente passato le linee e si era stabilito nel sud.

 

Come nel Marzo 1943 anche nello sciopero del marzo 1944 si ebbe un buon esito in tutti gli stabilimenti della provincia di Vicenza. Avevamo fatto un buon lavoro ma non potevamo riposare sugli allori, altri impegni ci attendevano. Purtroppo quattro nostri compagni di Arzignano venivano fuciliati per rappresaglia: Luigi Cocco, Umberto Carlotto, Cesare Erminelli, Aldo Marzotto, saranno sempre presenti nei nostri cuori.

 

Italia Libera "Val Brenta"

 

Malgrado gli avvertimenti di Anton Vratusa, capo della Missione Jugoslava, molti giovani si sono attestati sul Grappa. Il nome del famoso monte rievoca gloriosi episodi di resistenza, ed i giovani partigiani non ne vogliono sapere di abbandonare quello che essi ritengono una roccaforte inespugnabile.

 

Gino con Emilio e Manfrè (industriale di Bassano), riuniti sulle rive del Brenta, nella primavera del 1944 consolidano le basi della Brigata Italia Libera “Val Brenta” dando un Comando, raccogliendo uomini, viveri e armi per questa formazione, che assieme ad altre Brigate agirà sul massiccio del Grappa e che molto si distingueranno in seguito. Villa (Valentino Filato) dopo le ferite subite nella battaglia del settembre 1944, tornerà sul Grappa convinto da Gino e sarà l’ultimo comandante della Brigata fino al giorno del suo arresto.

 

La TODT

 

Dopo lo sciopero di marzo la segreteria sindacale repubblichina, visto che con le minacce non ha ottenuto niente, tenta ancora la via del compromesso, convocando i rappresentanti dei lavoratori presso l’Associazione Industriali. I rappresentanti dei lavoratori si presentano in 20, malgrado che taluno di essi fosse già segnalato. Presenti sono con i rappresentanti degli industriali, anche un alto funzionario della TODT.

 

Dopo ben due ore di accalorata discussione vengono determinate le richieste dei lavoratori, un aumento delle razioni di pane e alimenti vari. Appositamente non viene richiesto un aumento dei salari, che sarebbe stato subito accordato, ma la richiesta delle razioni in più avrebbe messo in difficoltà i fascisti, non essnendo essi in grado di reparire le vettovaglie e mancando così agli impegni presi, avrebbero inasprito i lavoratori.

 

Emerse lo scontro tra il compagno Lievore e il rappresentante di Marzotto, che ritiene sufficiente 150 grammi di pane al giorno, che viene zittito da Lievore, il quale sostiene che 150 grammi di pane, se aiutati da qualche etto di carne o pollame possono anche bastare, ma le carni per il loro pranzo sono vietate ai lavoratori.

 

Il rappresentante della TODT, scarica la responsabilità della situazione sulle autorità fasciste, aggravando così i contrasti. Lievore viene invitato ad incontrarsi a Padova con il Ministro del Lavoro, ma declina l’invito perché ritiene utile per la lotta provocare i rapporti con i fascisti, mantenuti sia pure solo per il campo sindacale.

 

La reazione fascista non si fa attendere. Con la fucilazione del patriota Apolloni (Silvio) il 28 Aprile 1944 ha inizio una recrudescenza della lotta. Intanto Alberto (Nello Boscagli) e Aramin sono saliti in montagna. La vita nella città è diventata difficile. In sostituzione di Marchioro, il Regionale del PCI, pur riconoscendo che la Segreteria vicentina era attiva ed afficiente in tutti i campi, sindacale, politico e militare, ritenne necessario nominare un nuovo segretario nella persona di Antonio Bietolini, che noi conosceremo col suo nome di copertura Bruno Morassuti. 

 

 

Vicenza clandestina - 2

 

 

Lievore presenta al C.L.N.P. il compagno Bietolini come nuovo rappresentante del PCI. Bietolini si installa nella casa di Olimpia Menegatti che è sempre la base di raccolta di viveri, medicinali e punto d’incontro tra antifascisti, e centro di distribuzione di documenti di identità, carte annonarie, lasciapassare, ecc. forniti dai fratelli Morbin agli sprovvisti, ai compromessi; documenti forniti sempre gratuitamente, mentre risulta purtroppo che qualche elemento, soprattutto con le carte d’identità vendute a lire 100, ne trasse un vergognoso lucro e per carità di patria ne tacciamo il nome.

 

La missione Rocco paracadutata dal Comando Alleato per i collegamenti con i partigiani è sempre in contatto nella casa di Olimpia Menegatti. I compagni Dorio Vittorio, Zanchetta Leonida, Vittorio Giordana, ormai alla macchia, si prodigano come collegamento e come base di riunione. Bietolini aveva concentrato nel negozio di Cappannari il recapito del partito, del comando militare e delle formazioni della montagna; intanto richiede un ufficiale dell’esercito per dare più carattere militare e maggiore disciplina alle formazioni; salta fuori un tenente già in servizio effettivo che diede il solito risultato negativo già sperimentato.

 

A Gino Cerchio l’allontanamento giovò alquanto, poiché la caccia alla sua persona si era accanita; dopo essere sfuggito parecchie volte fortunosamente all’arresto, si trasferisce a Sandrigo, ma non tronca i rapporti con i compagni Lievore, Campagnolo, Dorio e Zanchetta e si collega con la missione alleata Puntino, che operava tra le provincie di Padova e Vicenza, trasferendosi tra Sandrigo e S.Pietro in Gù.

 

Il sole è nero

 

Sabato 22 Aprile 1944, il sig. Antonio Pedron di Pozzoleo festeggia il matrimonio del fratello Giovanni, che va a convivere nella sua abitazione. Tutto va benissimo, senonchè nella notte, il silenzio, la pace e i piacevoli conversari della felice coppia, vengono turbati da un aereo, che volando a bassa quota compie varie evoluzioni sulla zona. Successivamente, si odono dei tonfi e dopo qualche istante un rumoroso rovinìo di tegole e legno spezzati.

 

Naturalmente, sia perché in altre faccende affacendati, o anche per il fatto che al mattino successivo avrebbero potuto veder ugualmente cosa era successo, fatto sta che nessuno si muove. Nello stesso momento, nei campi di S.Pietro in Gù, una squadra agli ordini di Giacomo Prandina, sta presumibilmente imprecando contro l’imperizia del pilota di quello stesso aereo.

 

Al mattino dopo i Pedron vedono che una barchessa di fronte alla casa ha avuto il tetto ed una trave sondati da un contenitore che è ancora attaccato al paracadute. Nei campi vicini, di proprietà Rigon, ci sono altri contenitori e diverse persone che vanno e vengono svuotandoli del materiale che c’era. I Pedron esaminando il paracadute rotto si immaginano molto fedelmente che cosa era successo, e pertanto l’imperizia del pilota non c’entra; essi si mettono subito al lavoro per occultare il materiale avendo l’accortezza di portare poi il contenitore vuoto ed il paracadute assieme agli altri che come detto sono stati svuotati dai compaesani.

 

Al lunedì arrivano i carabinieri di Sandrigo, poi la Brigata Nera di Nove, e un gruppo di tedeschi che per tre o quattro giorni perlustrano la zona perquisendo le case alla ricerca delle armi. La casa del Signor Pedron non viene perquisita proprio grazie al fatto di aver portato il contenitore assieme agli altri e di averlo detto subito ai carabinieri. Questi intanto per tutti i giorni dovettero rimanere sul posto avendo il loro da fare ed il Brigadiere stanco e affamato chiede e ottiene dalla signora Genoveffa Pedron della polenta e del salame.

 

Sta assaporandolo, quando irrompe nell’aia il gruppo della B.N. di Nove che vuole perquisire la casa. Stanchezza, intuizione, o benevolenza del Brigadiere, fatto sta che egli, affermando che la casa era stata perquisita dai tedeschi, riesce a dissuaderli dal loro proposito. Nel frattempo Emilio Lievore viene a conoscenza dei fatti accaduti, si incontra con Gino e lo mette al corrente di tutto. Viene deciso perciò di andare dal signor Pedron per recuperare ciò che riteniamo sia di nostra spettanza.

 

Va Gino, ma pur fraternizzando col signor Pedron, che sia detto per inciso non è mai stato fascista, non riesce a persuaderlo. Ciò è spiegabile col fatto che egli teme di trovarsi di fronte ad una trappola della B.N. di Nove, in quanto Gino parla con accento piemontese. Gino non sa cosa fare, però si guarda intorno e notando un apparecchio radio chiede se qualche volta ascolta Radio-Londra. Il signor Pedron nicchia un po’ e poi dice di sì, ma di sfuggita. Gino coglie la palla al balzo e gli fa questa proposta: “Se io le faccio dire da Radio-Londra un messaggio dettatomi da lei ciò vuol significare che la merce è nostra.

 

Il proprietario è d’accordo e suggerisce il messaggio: - Il sole è nero – Gino ritorna dalla Missione e fa la sua richiesta. Qualche giorno dopo Radio-Londra fra i tanti messaggi speciali trasmetteva “Il sole è nero”. Al mattino successivo rientravamo in possesso della merce paracadutata. Dobbiamo dire che dopo qualche tempo la Brigata Nera di Nove, chissà per quale motivo, arrestava il signor Antonio Pedron picchiandolo selvaggiamente e quando lo rilasciarono dovette firmare una dichiarazione con cui egli versava lire 10.000 per il miglioramento mensa della Brigata Nera!

 

Le formazioni partigiane

 

I gruppi di patrioti dislocati in ogni punto della provincia con l’aiuto del C.L.N. e del C.M.P. (Comitato Militare Provinciale, n.d.c.) che si prodigano per coordinarne la loro attività, si sono organizzati in battaglioni e brigate. Italia Libera Val Brenta, Matteotti, Gramsci, Italia Libera Val Piave, operano sul Grappa; la Mameli e Mazzini nella zona di Thiene; la Sette Comuni ad Asiago; la Garemi con la Stella, Val Leogra, Pino, Pasubiana, Marzarotto, ecc. che copre il settore nord ovest della provincia, controllano l’ampio territorio di Tonezza – Schio – Pasubio – Recoaro e la Valle dell’Agno.

 

La Garemi avrà pure parecchi reparti dislocati in altre provincie. Tutte queste formazioni riconoscono l’autorità del C.L.N. e vi si dichiarano aderenti sia sul piano provinciale che regionale. C’è però nella vallata del Chiampo una formazione Vicenza, che diverrà in seguito Pasubio, che malgrado i ripetuti richiami del C.L.N. si proclama autonoma. Ciò è causa di incresciosi incidenti e di notevoli danni alla popolazione della zona.

 

Il C.L.N.P. dopo aver interpellato il C.L.N.R.V. decide di emettere una sentenza contro il suo comandante Marozin “Vero”. La sentenza, stilata da Ettore Gallo e firmata da Gino Cerchio, non venne eseguita in quanto che, a seguito di un pesante rastrellamento subìto, la Pasubio si trasferì fuori provincia. La gran parte dei suoi componenti confluirono allora nelle adiacenti Brigate Stella, Rosselli,ecc.

 

A Santa Caterina di Tretto avviene uno scontro tra le nostre squadre e le forze fasciste; risulta che due fascisti feriti, elementi poco raccomandabili anche da civili, vengono portati all’Ospedale di Schio. Su suggerimento di Bietolini i partigiani di Tretto nella notte del 9 Giugno 1944 entrarono nell’ospedale trucidando i due e riportando vario materiale come bottino. Il fatto, anche se non sublime, impressionò favorevolmente la popolazione, che constatò la forza che si sprigionava dai componenti della resistenza.

 

I fratelli Tagliaferro

 

Il 15 Maggio 1944, i fascisti repubblicani e i militi della cosiddetta “Compagnia della morte” di Vicenza, uccidono i due fratelli Aldo e Gerardo Tagliaferro di Campiglia dei Berici. Il bieco duplice omicidio, avvenuto per ordine diretto da Vicenza, voleva colpire ancora e materialmente stavolta un altro loro fratello, Mons Girolamo Tagliaferro, Arciprete di Schio. Infatti in precedenza e cioè il 19 Gennaio 1944 “Il Popolo Vicentino” aveva pubblicato una “Lettera aperta a Mons. Tagliaferro” firmata da un certo Padre P. Lino Corbetti (ma forse si tratta di una firma apocrifa) e certo non per fargli dei complimenti sulla sua attività.

 

Naturalmente (e non c’è da meravigliarsi di ciò) il “Popolo Vicentino” si guardava bene dal dare la notizia dell’assassinio dei due fratelli Aldo e Gerardo Tagliaferro. Riteniamo doveroso ricordare a tutti, sia pure sinteticamente, la vita e le opere di questo umanissimo sacerdote che, precedendo i tempi dell’abbé Pierre in Francia, dette tutto sé stesso per soccorrere ed alleviare i poveri e i derelitti, ideando e attuando opere sociali di grande valore. Parroco di Aracoeli in Vicenza, pur continuando a vivere con la sorella Adele in una umile e modesta casetta, costruì il primo ricreatorio per ragazzi della città Il ricreatorio comprendeva cinema, giochi di bocce, altalene, giostre, ecc. ma l’attrazione maggiore era il regolamentare campo di calcio su cui si disputarono anche incontri interprovinciali fra la combattiva squadra dell’Aracoeli, la Juventus e le altre maggiori della città e delle città vicine, come la patavina Petrarca e la scaligera Bentegori,ecc.

 

Naturalmente per tutti questi motivi l’affluenza di giovani era elevatissima e appunto per questo i fascisti lo presero di mira, specie poi quando egli testimoniò in favore di un suo ex commilitone, nel famoso processo Canella – Bruneri. Nominato Arciprete a Schio il 6 Marzo 1932, vi fece il suo ingresso proprio in quel giorno, continuando la sua attività, costruendo i dormitori economici, le cucine popolari, il teatro Pasubio, le case Vincenziane (case popolari a riscatto) e altre ancora che rimarranno a testimoniare nel tempo la sua feconda operosità.

 

Nei venti mesi della repubblichina di Salò, Mons. Tagliaferro, pur sempre sorvegliato dai fascisti che gli fecero anche sospendere la pubblicazione del Bollettino parrocchiale, aprì la sua porta ai fuggiaschi, ospitando numerosi ebrei perseguitati che, riconoscenti, anni dopo, vollero ricordare con un attestato l’opera di carità rivolta loro dall’Arciprete. Ci si permetta di ricordarlo anche noi con due frasi che sono state dette da lui stesso: “Sono venuto povero, lascio la terra senza niente”. “La libertà non è mai troppa per l’uomo, quando non ne fa una licenza”.

 

Il Battaglione Guastatori

 

Insofferente della sua inattività politica, Gino Cerchio si mette in contatto con dei giovani di Sandrigo e con il loro aiuto, girando di giorno e di notte, riesce a formare delle squadre in tutti i paesi limitrofi. Tramite Barone, Plinio, Nozze, Carlo, Tom e Giordano costituisce un solido collegamento fra queste squadre e quelle già esistenti o in via di costituzione di Vicenza, Altavilla Vicentina, Brendoloa, Monteviale, Costabissara, ecc. Si viene così a formare un gruppo compatto, fedele e pronto ad agire in qualsiasi modo e momento. Esso è il grosso nucleo centrale del Battaglione Guastatori che con l’andare del tempo diverrà la Divisione Vicenza.

 

Ce ne sono molti a cui piacerebbe assumersi la partenità di questa formazione, ma dovrebbero bastare ad esempio le imputazioni addebitate a Gino Cerchio e pubblicate su “Il Popolo Vicentino” del 15 Marzo 1945 in cui si chiedeva la forca, affermando che “ideò, costituì, diresse”. Per molti di questi giovani mancano però le armi, esplosivi e la tecnica del loro uso. Gino allora intensifica i suoi contatti particolarmente con l’ing. Giacomo Prandina, che sarebbe diventato un bravo organizzatore per la ricezione dei lanci, conoscendo bene la zona ed avendo molte conoscenze tra gli agricoltori. Si incontra poi con Malfatti e Faccio, propone e chiede l’autorizzazione a dar vita a una formazione attiva nella pianura; avuto il consenso, Gino è d’accordo con Prandina che gli propone, come tecnico, il capitano del Genio Guastatori, Nino Bressan, da lui finalmente convinto dopo diversi incontri.

 

E così fu che nel Maggio 1944 con l’incontro di queste persone venne realizzata la formazione Battaglione Guastatori. Gino forniva squadre, Prandina il materiale a mezzo di lanci e Bressan istruiva gli uomini. Gino funzionando con Bressan da ufficio operazioni, stabilendo gli obiettivi e l’impiego degli uomini. Al gruppo iniziale costituito dalle squadre Vicenza, Sandrigo, Altavilla Vicentina, ecc. si univano squadre della Mazzini e della Damiano Chiesa.

 

Con l’attività del Btg. Guastatori si ottengono così due scopi: il primo di danneggiare o distruggere le linee di comunicazione, il secondo, ed è una conseguenza del primo, si evitano in tal modo i bombardamenti alleati su questi obiettivi che essendo vicini alle zone abitate potrebbero causare danni ai civili.

 

A Giugno il battaglione è pronto. La sue squadre dislocate in tutta la provincia e anche fuori non aspettano che di mettersi all’opera. Comincia la snervante attesa del materiale ed i comandanti hanno il loro da fare per tener fermi gli uomini. I comandanti sono: Plinio Quirici, Enrico Busatta, Aquilino Nozze, Carlo Segato, Berto (Nani), Bordignon (Nei), Marola (Nigra), Panetti, Moro, Cocco, Zen (Ilio), Mantiero (Albio), Giacomo Zaccaria, Leonardo Beltrame (Tom), Zin (Desiderio), De Giacomi, Zecchetto, Ghellini,, Licisco, De Lai (Sebastiano), Giuseppe Polita.

 

Finalmente Radio Londra comincia a trasmettere i primi messaggi e Giacomo Prandina, Ermes (Ermenegildo Farina) e Lambe (Lamberto Graziani) passano i giorni in febbrile attività e numerose notti bianche, perché i messaggi positivi sono numerati, ma per varie cause i lanci sono rinviati. Ed ecco nei pressi di San Pietro in Gù il primo lancio; sono venti armi automatiche e tre quintali di esplosivo.

 

Tutti vogliono essere i primi assegnatari in quanto pensano che i loro obiettivi sono i più importanti e quindi reclamano la precedenza assoluta. Vi sono inoltre i problemi di trasporto e qui sovviene l’apporto delle donne, Nerina, Lidia, Libera, Rina, Rosina, Maria, ecc., nomi semplici nomi grandi di eroine. Quando le prime azioni coordinate dei guastatori fecero un certo clamore, durante una riunione sotto una pioggia torrenziale, cui parteciparono Bietolini, Lievore, Dorio, Gino Cerchio fu riammesso nelle file del PCI e riconosciuto come comandante dei GAP vicentini, ma non volle altri incarichi politici.

 

Comando Militare Provinciale

 

Gino lascia invece il suo posto al Comando Militare Provinciale a Giordano Campagnolo, che a sua volta passa a Doro Alcetta la carica di cassiere del Partito, e a Bruno il Soccorso Rosso. Il Comando Militare Provinciale era già installato nella casa di Nino Strazzabosco, che ne era il segretario.

 

I componenti erano: l’ing. Prandina, il capitano Fiandini (Grigio) e Giordano Campagnolo con la consulenza tecnica di Nino Bressan. A seguito della cattura dell’ing. Prandina al 31/10/1944 il suo posto nel Comando veniva preso dall’ing. Ermenegildo Farina (Ermes). Il Comando Militare Provinciale si avvalse della valente opera di Virgilio Marzot e Igino Fanton che agivano da collegamento fra il Comando stesso e le squadre partigiane in città e in periferia.

 

Come si vede, la D.C. era in netta supremazia in questo organismo, ma tutto funzionava perfettamente ed era questo che aveva importanza. D’altro canto, come noi non facevamo caso a questioni del genere, anche gli altri non ne facevano al fatto che tutte le squadre erano più o meno guidate dai nostri compagni. Allora si badava solo e soltanto alla lotta comune.

 

Rischio calcolato

 

Si era constatato che quando le azioni di sabotaggio erano isolate gli abitanti vicini subivano delle rappresaglie; cosa sarebbe avvenuto se le azioni fossero state massicce e coinvolgenti larghe zone? Si presuppone che non sapendo cosa fare e con chi pigliarsela i tedeschi non possano fare niente contro i civili. E’ un rischio, ma ben calcolato e si decide in tal modo. E’ approvata così una linea di condotta, che avrebbe portato all’intensificazione delle azioni, fatte in gran numero e ben coordinate.

 

E poiché siamo anche dei sentimentali e romantici, per la prima grande azione, si fissa la data del 14 Luglio, presa della Bastiglia. Per festeggiare la data, si era pensato di far saltare – fra le altre cose – la polveriera di Rossano Veneto. L’esplosione avrebbe certamente recato gravi danni alle case del vicino paese e forse fatto vittime tra la popolazione innocente. Lievore fa presente le conseguenze dell’azione a Gino, perora con calore la causa dei civili ignari, e mette in primo piano l’odio verso i partigiani, che si sarebbe certamente scatenato; l’azione viene modificata, decidendo di incendiare una vasca di tritolo che, come si sa, non esplode e non scoppia se non provocato, poiché è un esplosivo secondario, risparmiando così i civili. L’azione venne poi rinviata per motivi tecnici alla notte fra il 23 e il 24 Luglio 1944.

 

Pic –nic

 

Pic-nic è il nome di battaglia di un giovane alto, elegante, con modi molto raffinati, dal gestire pacato, che si presenta a Giordano Campagnolo facendogli osservare che il significato di questo pseudonimo è “colazione all’aperto”. E’ di Vicenza, ma è aggregato al movimento di Padova, dove fa il segretario di un grosso esponente cattolico locale. E’ insofferente per l’inattività a cui è costretto dall’attendismo colà regnante, pertanto vuole mettersi con noi che sa molto attivi. E’ un altro caso come lo studente Mainardi e i suoi ragazzi di Monte Berico. E’ messo alla prova con dei compiti via via sempre più difficoltosi. E’ bravo, onesto, preciso come un orologio svizzero di marca. Ci si può fidare senza alcun dubbio.

 

Un giorno comunica a Giordano se possono interessargli le coordinate di Villa Feltrinelli a Gargnano del Garda, dove alloggia il capo della RSI, Benito Mussolini, per un eventuale bombardamento alleato. Giordano gli fa osservare che tale eventualità è del tutto inutile, data la poca autorità di cui godono i fascisti italiani. Comunque ben vengano queste coordinate. Pic-nic gliele porta e gli fa una stupefacente rivelazione; egli ha una relazione particolare con un ufficiale tedesco e se gli possiamo dare tremila lire, questi si impegna a fornirci le coordinate della base di Peenemunde dove vengono fabbricate le V1 e le V2 tedesche.

 

E’ un colpo di fortuna e Giordano paga subito ottenendo dopo due giorni le preziose indicazioni che vengono immediatamente consegnate a Gino e da questi alla missione che le trasmette al Comando Alleato. Non possiamo certo dire che questa informazione sia stata di importanza decisiva, ma quello che è certo è che 10 giorni dopo Radio Londra annuncia che un massiccio bombardamento a tappeto è stato effettuato sulle fabbriche di Peenemunde distruggendole; noi allora ci congratulammo a vicenda molto soddisfatti.

 

Non furono solo queste le informazioni fornite agli Alleati. Durante la prima metà del Giugno 1944 in tre fortunate azioni, le pattuglie partigiane della Brigata Stella e Val Leogra riescono a catturare nei pressi di S.Antonio del Pasubio e del Pian delle Fugazze un Colonnello di Stato Maggiore della Wermacht, un Capitano delle S.S., un Ammiraglio col suo seguito, e una missione giapponese composta da due diplomatici e dall’interprete. Vengono presi anche importanti documenti trovati in loro possesso. Viene inviato un emissario a Vicenza che prende contatto con Emilio per consultarsi sulla sorte dei prigionieri.

 

Viene deciso di trattenerli come ostaggi e trattare a mezzo di un cappellano la loro libertà con le autorità tedesche. Viene richiesta la libertà di tutti i prigionieri politici reclusi nelle carceri di Vicenza. La controparte offre 20.000.000 che vengono rifiutati. Rimangono intanto consegnati a Lievore tutti i documenti trovati in possesso dei prigionieri, sono lucidi piani, relazioni, di congegni di armi e attrezzature militari, che vengono consegnati a Malfatti e da questi al C.L.N.A.I. e infine portati in Svizzera.

 

Continuano le trattative, i tedeschi arrivano ad offrire 50 milioni, vengono nuovamente rifiutati, si vuole assolutamente la libertà dei prigionieri, si vuole scambiare vita per vita. Si propone la libertà per 50 prigionieri sui 140 esistenti nelle carceri, si accetterebbero 70 prigionieri di nostra scelta tra i più compromessi, ancora controproposte sulla scelta dei prigionieri.

 

Intanto un reparto armato tedesco, forse all’oscuro, inizia un rastrellamento che costringe i partigiani ad abbandonare le loro basi. Dopo di aver invitato la interprete ad andarsene, al suo rifiuto viene perquisita, e viene trovata una cartina con le postazioni partigiane. I quattro prigionieri, non potendo spostarsi, si devono fucilare forzatamente. Le trattative seguono ancora, ma poi tutto svanì con il succedersi di altri eventi.

 

Il Servizio Informazioni

 

Il Servizio Informazioni è di capitale importanza, specie in un organismo segreto come è stata la resistenza. Per questo servizio noi avevamo dei preziosi contatti: in Questura tramite il dott. Luigi Follieri (vedi i casi del tabacco e delle rapine compiute da parte di alcuni elementi della Polizia Ausiliaria). In Municipio, i contatti erano con D’Alessandro, Morbin (vedi tessere annonarie e documenti d’identità di ogni genere).

 

Al Palazzo Littorio, sede della federazione fascista, avevamo un nostro informatore, senza contare che nella Polizia Ausiliaria comandata dal Capitano Polga vi erano arruolati 17 nostri guastatori. Al Comando tedesco ci aiutò moltissimo un’interprete (vedi la parte riguardante il Monte Grappa) e che ci dette inoltre una informazione sul comandante tedesco, il quale non dette mai seguito alle lettere anonime che purtroppo gli pervennero. Di questa sua correttezza dobbiamo darliene atto.

 

Comunque fu a mezzo di queste persone che venimmo a conoscenza dell’arresto dei Carabinieri progettato fra ilo 5 e 6 Settembre 1944 dai fascisti. Immediatamente li avvertimmo e molti di essi poterono mettersi in salvo, mentre altri che non ci prestarono fede andarono purtroppo a finire nei campi di concentramento, oppure si arruolarono nella Guardia Nazionale Repubblicana (fascista).

 

Il contributo dei ferrovieri

 

Per quanto riguarda le Ferrovie dello Stato, si sa da tempo immemore che i ferrovieri sono sempre stati all’avanguardia del movimento operaio e pertanto nella stragrande maggioranza favorevoli alla nostra causa (vedi la segnalazione del treno dell’Olmo e i numerosi casi delle fughe dai treni dei militari italiani deportati in Germania). La S.I.T.A., ora SIAMIC, aveva fra i propri dipendenti Lievore e Roscini, i quali avevano fatto un ottimo lavoro di proselitismo  fra i colleghi e che copriva con la sua rete di autotrasporti gran parte della provincia di Vicenza con ramificazioni a Padova (vedi i collegamenti con Lievore e Cerchio a San Germano dei Berici e i trasporti delle mitragliatrici a Fara e a Salcedo).

 

Le Tramvie Vicentine, ora Ferrovie e Tramvie Vicentine, con la loro rete che si estendeva da Vicenza a Noventa –Montagnana per km.45, Sandrigo-Marostica-Bassano per km. 35, Valdagno-Recoaro per km.42, con la deviazione da Monteccio S.Vitale per Arzignano-Chiampo con ulteriori km.11.

 

Ognuna delle numerose stazioni di questa imponente rete tramviaria era collegata direttamente, con telefono per uso interno con la stazione di Vicenza. I dipendenti delle Tramvie avevano avuto per tanti anni, come presidente, il conte Gaetano Marzotto, e come direttore l’avv. Mario Rezzara, detto il Barba, che ricordiamo autore della circolare al personale esaltante la libertà riconquistata al 25 Luglio 1943 e che doveva portarlo in carcere, dopo l’8 Settembre 1943, per un certo periodo di tempo.

 

Di conseguenza avvennero dei cambiamenti alla direzione. Il nuovo direttore ing. Ugo Guido Taverna, anche lui antifascista convinto, era sorretto e incitato dalla moglie Dina (cognata dell’avvocato Rezzara) e figlia dell’onorevole Mazzoni, degnissima figura del liberalismo vicentino nei decenni a cavallo del XX secolo.

 

La totalità dei tramvieri era con noi e gli unici due che la pensavano diversamente, è doveroso dirlo, pur vedendo e immaginando si può dire tutto quello che succedeva, non hanno mai fatto alcuna delazione. Ecco perché Giordano viene informato subito dell’arresto di Bietolini e si dispone per l’agguato sulla strada Tavernelle-Montecchio (vedi l’episodio dei sette martiri di Valdagno) e di tante altre notizie molto preziose, specie se si pensa, che l’opera dei tramvieri si svolse in tutte le attività collaterali e cioè: trasferimenti di ebrei, di ex prigionieri alleati, che venivano effettuati con carri merci chiusi da Montagnana a Bassano e di lì passati ad altre organizzazioni, trasporti di viveri, armi, munizioni, queste molte volte sottratte ai tedeschi che le depositavano nel bagagliaio del treno.

 

Portiamo un esempio: un carico partiva da Vicenza per Recoaro e a mano a mano che progrediva nel suo viaggio, il personale del treno era tempestivamente informato dell’evolversi della situazione su tutta la linea. Se a Cornedo c’era un posto di blocco, il carico veniva messo temporaneamente a Brogliano o a Cereda (stazioni precedenti) per essere ripreso a via libera dal personale di un altro treno. Nei pressi di Recoaro in una delle innumerevoli curve che fa la strada, a un fischio prestabilito del treno fra il capotreno e il guidatore, il convoglio rallentava ed il carico veniva gettato ai partigiani appostati e pronti ad accoglierlo.

 

Fare dei nomi oggi è molto difficile, si correrebbe il rischio di dimenticare qualcuno. Quel che è certo è che tutti avrebbero meritato dei riconoscimenti, specie se si pensa che anche sotto i bombardamenti, essi si mettevano nelle buche, in attesa e pronti ad ogni eventualità, solo preoccupati dei preziosi carichi e, come abbiamo detto, talvolta anche umani a loro affidati. Purtroppo per l’oblìo di taluni di noi i valorosi tramvieri non ebbero nessun ringraziamento.

 

In questo capitolo dedicato ai tramvieri sarà bene ricordare anche chi li affiancò a Recoaro, e cioè la valorosa guida alpina Gino Soldà che compì, grazie appunto alla sua bravura e competenza, vari trasferimenti in Svizzera. Egli completava successivamente la sua opera militando in una brigata partigiana nel Basso Vicentino, mantenendo i contatti con noi tramite la moglie che lo aveva sempre aiutato. A questo proposito, e cioè del contributo fondamentale dato dalle donne alla resistenza, sarà bene che qualche storico una volta o l’altra se ne occupi; è un dovere che deve essere assolto (gli autori del saggio hanno dimostrato di anticipare i tempi ed è doveroso segnalarlo, n.d.c.).

 

Sette martiri

 

Al due Luglio 1944 sono indette due riunioni, una a Schio e una a Valdagno e poiché per Emilio Lievore  è più comodo andare a Schio, Bietolini si reca a Valdagno. Il caso aveva voluto che nella notte fra sabato e domenica fosse stato ucciso in località Ghisa un ufficiale delle S.S. provocando un rastrellamento e Bietolini, fermato dai tedeschi  e trovato in possesso di materiale propagandistico, viene arrestato con altri sette. Siamo informati quasi subito e nella stessa notte dal 2 al 3 Luglio 1944 le squadre di Altavilla, Brendola e Montecchio comandate da Carlo Segato sono in agguato per liberarli nel caso che gli otto arrestati venissero portati nelle carceri di Vicenza. Invece alle ore 18 del 3 Luglio, per rappresaglia tutti e otto vengono condotti davanti al plotone di esecuzione. Uno di essi, Raffaele Pretto (Brusin) riesce fortunosamente a fuggire, gli altri sette vengono fucilati. Essi sono: Alfeo Guadagnin, Ferruccio Baù, Virgilio Cenzi, Antonio Bietolini, (Bruno Morassuti), Giovanni Zordan, Francesco Rilievo, Marino Ceccon. Siamo molto addolorati, ma la lotta deve continuare.

 

Gruppo Brigate Garibaldine

 

Il 5 Luglio 1944, nelle vicinanze della stazione di Villaverla-Montecchio Precalcino, c’è una importante riunione, allo scopo di delimitare le zone di influenza e di operazione delle brigate di montagna e quelle di pianura. Ciò risulta necessario in quanto possono succedere delle interferenze fra le formazioni stesse, con grave pregiudizio delle azioni in via di svolgimento e ad evitare degli eventuali scontri fra partigiani, in azione contemporanea nella stessa zona.

 

Gli esponenti maggiori delle Brigate discutono il modo migliore per ovviare a tali eventualità e la cosa viene risolta, facendo confluire tutte le unità in un unico organismo. Esso viene denominato “Gruppo Brigate Garibaldine” S.A.P. (Squadre d’Azione Patriottica) con un comando composto da: Nello Boscagli (Alberto) – Comandante, Luigi Cerchio (Gino) – Vice Comandante, Elio Busetto (Guglielmo) – Commissario, Orfeo Vangelista (Aramin) – Vice Commissario, Giordano Campagnolo (toto) – Commissario intendente. Ci sembra di aver trovato un ottimo trampolino di lancio per l’unificazione di tutte le forze partigiane.

 

Baruffe in famiglia

 

Per sostituire Bietolini, Emilio vorrebbe che ritornasse Gino, ma questi decisamente rifiuta, perché troppo impegnato nella parte militare. Si propone dunque Lievore, che accetta a condizione che il Regionale Veneto ne dia conferma e ciò per evitare nuove nomine dal Regionale stesso.

 

Dopo qualche giorno Lievore convocato si reca a Padova. Ritorna con la conferma da parte del Regionale Veneto e deve subito correre a S.Pietro in Gù per una riunione nel campo di Prandina. E qui oltre a Gino e Prandina trova una trentina di persone vestite nelle fogge più disparate, ce n’è uno perfino in divisa da ufficiale della B.N. Essi sono i comandanti dei vari gruppi di partigiani dislocati sul Grappa.

 

Scopo della riunione è quello di designare un comandante unico di tutta la zona. Quando finalmente Emilio e Gino riescono a farsi ascoltare essi in primo luogo deplorano la presenza di così tante persone che hanno certamente dato nell’occhio a qualcuno. Poi fanno osservare ai presenti che è sufficiente che essi stessi nominino fra di loro  chi deve essere il comandante. Apriti cielo! Poiché ci sono tenenti e capitani ognuno in cuor suo vorrebbe esserlo, ma gli altri non vogliono sottostare a un pari grado. Bisogna perciò cercare e trovare un ufficiale di grado superiore.

 

Infine si prospettano le difficoltà di tenere saldamente il Grappa, soprattutto per ragioni logistiche; ma si obbietta che fra le formazioni c’è una missione inglese e che essa potrebbe servire alla bisogna con richieste di lanci e appoggio aereo. Gino, Emilio e Prandina dichiarano di ignorare la presenza di tale missione, che non è stata segnalata dalle altre missioni operanti in zona. Pertanto stiano all’erta. La riunione termina in un modo molto tranquillo.

 

Fiammetta

 

Il 23 Luglio mattina, prima riunione della Federazione diretta da Emilio in località Polegge nei campi. Molto allarmato arriva Giordano che porta la notizia (risultata poi inesatta) che ha sentito in città dell’arresto di un componente del C.L.N. Avverte Emilio di rimanere nascosto finchè non si venga a sapere qualcosa di più preciso. La riunione ha inizio, ma arriva Gino che accompagna una ragazza, Stella (Fiammetta), che è stata paracadutata con la missione Puntino.

 

Viene sospeso l’ordine del giorno in quanto la ragazza inviata dal Comando Alleato comunica che si prevedeva per settembre la liberazione dell’Alta Italia. Con le carte alla mano si studia la possibilità di raccogliere sia sul massiccio del Grappa, sull’Altopiano di Asiago, che sulle cime del Pasubio, dai 2 ai 3 mila uomini, purchè gli Alleati si fossero impegnati a fornire, paracadutandolo, tutto il necessario, viveri, vestiario, armi e in talune zone anche l’acqua; è stabilito un messaggio: C’è una fiamma nel cielo – che avrebbe confermato la buona riuscita dell’attraversamento delle linee, e un secondo messaggio, l’accettazione del piano.

 

Fu nella serata stessa consegnato un piano dettagliato, che non è altro che la riesumazione ampliata e modificata di quello redatto dal Gen. Maglietta, con cartine e richieste precise e l’impegno di tenere dette posizioni almeno una settimana, utile per impegnare i tedeschi in ritirata e permettere agli Alleati di raggiungere i contrafforti alpini, furono pure consegnati i lucidi delle opere della TODT (fortificazioni, strade, ecc.).

 

Si riprende l’ordine del giorno interrotto, con la malcelata ammirazione e stima di Fiammetta, che poco dopo riparte in bicicletta, scortata da un nostro compagno, per Bologna, in quanto che in quella città aveva i contatti necessari per passare le linee. Sentimmo dopo qualche giorno il messaggio citato, erano riusciti ad attraversare le linee, ma non avemmo mai disposizioni per preparare una forte resistenza sui monti. Gli Alleati tenevano il fronte italiano in seconda linea impegnati come erano in Francia.

 

23 Luglio 1944

 

Alle dieci di sera cominciano a scoppiare le prime mine. Il Btg. Guastatori è all’opera e a giudicare dal numero degli scoppi agisce veramente bene e a lungo. L’azione termina alle cinque della mattina con le casematte di tritolo di Rossano Veneto. Vedere dalla relazione del Btg. Guastatori l’elenco delle azioni compiute. E’ un successo strepitoso ed ora aspettiamo gli eventi.

 

I tedeschi e i fascisti non sanno che pesci pigliare e perciò a quanto ci risulta non pongono in atto alcuna rappresaglia. E’ esattamente quanto avevamo previsto. L’unica reazione è un inasprimento del coprifuoco che viene esteso dalle ore 21 alle 5 del mattino. Per il resto c’è uno sfogo su “Il Popolo Vicentino” del 26 Luglio 1944 con uno stelloncino dal titolo significativo: “NON PRAEVALEBUNT!”.La notte sul 24, ad opera dei soliti, famigerati manigoldi che tuttora infestano la nostra provincia, sono stati compiuti numerosi atti di sabotaggio a pro del nemico e altre gesta di delinquenza comune. Sono in corso adeguate misure di repressione”.

 

Sella il settario

 

Come se non ci fosse altro da fare si deve anche perdere del tempo per le intemperanze di elementi faziosi. Infatti la buona armonia creatasi fra Bressan, Prandina e Gino Cerchio è minacciata dal settarismo di un certo Sella, compagno di Schio, per una questione di lanci. Non ha ancora capito che la lotta contro i nazifascisti è e deve essere unitaria. E’ una bega grossa che può compromettere lo sviluppo delle azioni dei Guastatori e che minaccia una rottura in seno al Comando Militare Provinciale. Giustamente, in una riunione a San Pietro in Gù, viene richiesto a Gino di garantire il comportamento del PCI. Gino fa osservare che non può farlo, perché non è lui il responsabile politico, ma che chiederà subito l’intervento di Lievore, successore di Bietolini nella segreteria del partito.

 

In una pacata riunione Lievore può garantire la buona fede ed il leale comportamento dei comunisti e di tutti i componenti le squadre da essi guidate. L’elemento perturbatore viene allontanato. Chiarificate così le rispettive posizioni si continua a perfezionare l’organizzazione dei Guastatori.

 

 

Vicenza clandestina - 3

 

 

 

Essere o non essere?

 

Il “Popolo Vicentino” del 30 Luglio 1944 pubblica un comunicato del Comando Germanico con cui si annuncia l’arresto di parecchi antifascisti. E’ un colpo gravissimo. Ci sono infatti tra gli altri arrestati anche i compagni Oddo Cappannari, sua moglie ed altri importanti elementi molto preziosi. Inoltre le autorità repubblichine minacciano di fucilare i prigionieri, qualora fossero continuate le azioni dei guastatori che rendevano difficili i trasporti per ferrovia.

 

Questa dichiarazione pone ai componenti del C.L.N.P., del Comando Militare Provinciale e della segreteria del PCI un grave dilemma: continuare le azioni e vedere cadere i nostri compagni, in maggioranza fra i prigionieri, o ritirarsi in un attendismo sterile. Per dare una risposta a questa domanda, viene convocata una riunione, con i maggiori responsabili del Partito.

 

Questa ebbe luogo sul greto dell’Astico sotto il sole rovente del primo giorno di agosto, a malapena protetti da un fazzoletto di ombra di una piccola acacia. La discussione, iniziata alle 9 del mattino, continuava fino alle diciassette del pomeriggio, mentre i convenuti si spostavano con il sole roteante sotto l’alberello per sfruttarne la misera ombra.

 

La situazione fu esaminata e, prospettate le varie soluzioni possibili, prevalse infine la tesi di Gino, il quale faceva presente che tutti quelli che combattevano per la libertà erano dei volontari, tutti avevano potuto valutare le conseguenze e i pericoli, e affinchè gli Alleati a liberazione avvenuta non dovessero prenderci a sputi in faccia, la lotta sarebbe continuata e intensificata.

 

D’altro canto ciò è una diretta conseguenza di quanto avevamo discusso in precedenza (vedi “Rischio calcolato”), sia di quando avevamo rifiutato di eseguire azioni contro singole persone (Prefetto, Questore, ecc.) che ci veniva suggerito dal rappresentante del Regionale Veneto del Partito.

 

Avevamo ribattuto allora, che morto un Papa se ne fa un altro, volendo con ciò far capire, che se avessimo fatto fuori un Prefetto o un Questore, ne avrebbero nominato un altro, forse peggiore del primo, magari comportando una rappresaglia nei confronti dei nostri compagni imprigionati. Ma se proprio insistevano, allora che ci indicassero obiettivi similari in Padova, che li avremmo accontentati. Non se ne parlò più! E pensare che sarebbe stato così facile per noi accontentarli, basti sapere che il Questore girava in macchina con quattro armati di scorta e quelli erano dei partigiani appartenenti al nostro Battaglione Guastatori!

 

Metodi e sistemi

 

E’ curioso, ma avviene che dopo il successo delle azioni del Battaglione Guastatori del 23 Luglio e seguenti il Regionale Veneto del PCI manda un funzionario (Antonio) che ha due burrascosi incontri con Gino e Lievore; incontri alquanto strani; il primo, perché la riunione ha luogo in una stanza posta sopra una stazione di Carabinieri, il secondo in una villetta ai margini del campo di aviazione di Vicenza, mentre era oggetto di un attacco aereo alleato.

 

Lo scontro burrascoso fra i tre era inevitabile, il pragmatismo di Gino, la profonda conoscenza da parte di Lievore della situazione politica e sindacale della provincia, urtavano contro le impostazioni burocratiche teoriche e assurde, non aderenti alla realtà dei tempi, di Antonio.  Battuto, ma non domo, Antonio ritorna in casa Menegatti, convoca una riunione. I presenti notano l’assenza di Lievore e Cerchio e ne chiedono il perché. Antonio asserisce che da quel momento è lui il responsabile del Partito e che i due sopraccitati sono stati estromessi. Giordano ribatte a nome di tutti che l’organizzazione  fino a quel momento è andata bene con il concorso di tutti, presenti e assenti, e se si vuole che continui si deve lasciare tutto come sta. “Se vicerversa si vuole cambiare, si cambi pure, ma sia ben chiaro che ciò avverrà senza la nostra attiva partecipazione”.

 

Olimpia Menegatti aggiunge inoltre che in tal caso anche la sua abitazione non è più disponibile. Tutti gli altri si dichiarano d’accordo con le dichiarazioni di Giordano e Olimpia. La stima che avevamo per Gino ed Emilio, la intensa collaborazione fra di noi e lo spirito di un metodo democratico ci aveva uniti contro il sistema delle nomine dall’alto che erano in uso e che non potevamo tollerare né allora né poi. Naturalmente avvenne che Antonio se ne ritornò da dove era venuto e più non lo vedemmo.

 

Continuano le pressioni del C.L.N.P. sul Comando Guastatori, il Comitato è molto preoccupato dalle rappresaglie che colpirebbero i prigionieri antifascisti. In una accanita discussione, presenti Gino e Lievore, i nostri devono sostenere risolutamente la necessità di continuare la lotta, fino a minacciare il ritiro dei rappresentanti del PCI dal C.L.N.P. (ma le azioni sarebbero continuate).

 

Ettore Gallo, del Partito D’Azione, prende posizione a favore dei comunisti e così viene approvata la risoluzione (a favore della continuazione della lotta, n.d.c.). Continui interventi decisi furono necessari per difendere l’operato dei compagni, del lavoro militare, ed il discredito verso i partiti di sinistra, attività deleteria che avrebbe fratturato la solidarietà e l’unione tra i componenti il C.L.N.P.

 

Sandro

 

Successivamente, ma con compiti totalmente diversi, il Regionale Veneto mandò a Vicenza una brava e cara persona, di cui sapemmo solo il nome che ci disse: Sandro. Egli ci fu prodigo di consigli e suggerimenti e pur partecipando alle riunioni del C.L.N.P., come sostituto di Emilio, non interferì mai nella nostra attività. Anche lui venne ospitato in casa Menegatti, come del resto lo furono in un modo o nell’altro Domenico Marchioro, Antonio Bietolini (Bruno Morassuti), Rino Gruppioni (Spartaco), Antonio, Giachetti (da noi scherzosamente chiamato “brosema” per il fatto che era molto freddoloso), i componenti la missione alleata M.R.S., e cioè i fratelli Rocco, Marini e tutte le staffette di ogni provenienza.

 

Nel Settembre 1944 Sandro deve conferire con un Ispettore del Comando Militare Alta Italia, e incarica Giordano di fargli trovare un posto sicuro, cosa presto fatta in quanto egli possiede le chiavi di casa Panazzolo, il cui figlio Fernando milita in una formazione partigiana. Il giorno fissato per l’incontro, Giordano guida i due nella casa amica, li lascia soli, e va a prendere il pranzo per loro, preparato come al solito dalla Olimpia Menegatti (ma quante ne hai fatte cara Olimpia! Levaci una curiosità: è mai tornato nessuno dei vivi a ringraziarti?). A pasto e colloquio conclusi i due trattengono Giordano, a cui l’inviato del Comando (un simpatico personaggio dalla faccia florida) racconta come egli riesca a passare dai posti di blocco fascisti. Giordano definì allora quel racconto come un “gustoso metodo” che, se non era vero, era bene inventato.

 

Sandro partì da Vicenza nel Movembre del 1944 e di lui si seppe solo che era stato ucciso. Ed è stato solamente come “Sandro” che venne ricordato anni dopo, in una conferenza tenuta nel Municipio di Vicenza dal prof. Avv. Ettore Gallo (il nostro caro, sempre giovane e generoso “Maestro”). Oggi grazie all’episodio suaccennato, e alla cortesia dell’on. Giorgio Amendola, da noi interpellato, possiamo dire il nome vero, celato dalla segretezza con cui si doveva agire in quei venti mesi di lotta.

 

Ed ecco come l’on. Amendola ci risponde: “La mia ispezione nel Veneto avvenne dal 14 al 24 Settembre 1944 e dovetti essere a Vicenza il 20 circa dove mi incontrai con Sandro, che per me aveva il nome di copertura di Bianchini, alla presenza di un altro compagno che, ora apprendo, eri tu (Giordano). Il motivo dell’incontro era l’esame della situazione politica e militare, e la possibilità che lui si spostasse a Padova, come responsabile della Sezione organizzazione del Comando Regionale delle Brigate Garibaldi. Il suo nome vero era Bruno Venturini di Fano, ucciso dai fascisti mentre tornava da una riunione a Milano. Riconosciuto da un fascista di Fano, cercò di sottrarsi all’arresto e fu assassinato a colpi di rivoltella il 29 Novembre 1944.  A proposito del modo con cui viaggiavo e del “gustoso metodo” per passare i posti di blocco, in realtà non avevo l’abitudine di salire sui carri armati tedeschi, ma forse per singervi a viaggiare con più disinvoltura avrò raccontato che ero riuscito ad ottenere un passaggio, tra Vignoloa (modena) e Bologna, su un carro cingolato dell’esercito tedesco sbarcando alle porte di Bologna davanti al compagno Corassori, che poi divenne sindaco di Modena (…)”.

 

Prelievi

 

Per alimentare i giovani alla macchia, erano necessari viveri, denaro e vestiti, quindi necessari prelievi forzosi. Informati del percorso dei rifornimenti di tabacco per i rivenditori di Vicenza si decide di prelevare il carico. Giordano Campagnolo fornisce le informazioni utili, percorso, entità del carico ed è d’accordo con Gino che, a prelievo effettuato, una parte del carico sarebbe stata ceduta al mercato nero per risarcire totalmente i tabaccai, e il rimanente passato alle formazioni.

 

Gino prepara il piano esecutivo e passa l’ordine a una sua squadra. Questa è composta da elementi il cui passato lasciava un po’ a desiderare per quanto riguarda la loro reputazione, però erano molto bene intenzionati, se bene indirizzati, a prendere il giusto cammino.

 

Gino pur con la dovuta cautela, li adoperava sovente, memore del detto evangelico delle pecorelle smarrite e soprattutto che chi è senza peccato scagli la prima pietra. Egli tirava innanzi incurante se qualche buona e brava persona avrebbe arricciato il naso al riguardo. Il prelievo, fatto il 12 Settembre 1944, riesce perfettamente, senza danno al trasportatore, e il carico, del valore di 240.000 lire, viene nascosto in un cascinale.

 

Senonchè alcuni partigiani di una formazione locale, interpretando male l’azione, gli elementi e le informazioni fornite da Gino stesso, dopo un prelievo personale, scegliendo la strada peggiore, denunciano l’ubicazione del bottino alla polizia fascista, servendosi dei contatti che avevano con il dott. Follieri vice Commissario, che recupera il carico. Così il giornale locale del 16 Settembre 1944 a trombe squillandi, può denunciare la brillante operazione della polizia fascista.

 

Da un deposito di Sandrigo vengono prelevate 8 forme di formaggio “grana”, passate poi alle formazioni. Il biondino, Ferruccio, Giordano e Bruno preparano ed eseguono un prelevamento di tessere annonarie in un ufficio della SEPRAL situato nell’interno del Liceo Paolo Lioy in Vicenza. Nel loro rifugio si accorgono che le tessere prelevate sono dell’anno precedente. Due pacchi di illusioni e di speranze svanite, oltre al lavoro di una notte per bruciarle in un panificio amico.

 

La sirena

 

Il 16 Agosto 1944 tramite una delle più brave staffette di Schio, la Paola Baron, ci perviene un appello urgente da Gino. Bisogna trasportare subito all’Ospedale di Vicenza un partigiano ferito. Giordano parte immediatamente con uno strano camioncino a metano, guidato da Carlo Pietrobelli, che era già un nostro bravo ufficiale di collegamento e che si distinguerà ancora di più in seguito meritandosi gli elogi di Sandro.

 

Si dice strano camioncino perché, quando è in moto, emetteva un sibilo acuto come la sirena dei Vigili del Fuoco. Ma non è certo il modo per passare inosservati. Però pensandoci bene, è invece una buona copertura in quanto nessuno ci poteva credere così impudenti. Arriviamo infatti senza alcun impedimento al rifugio di Gino e lì apprendiamo che il partigiano è stato già ricoverato all’ospedale di Crespano.

 

E si trattava di uno dei più prestigiosi comandanti partigiani, Valentino Filato (Villa), da ciò l’urgenza dell’apello di Gino. Ritorniamo tranquilli col nostro sibilante mezzo in città.

 

Monte Grappa

 

Sa un interprete del Comando Tedesco di Vicenza veniamo a conoscenza dei preparativi per il rastrellamento della zona del Grappa. Teniamo sotto pressione l’interprete che ci dà giorno (21/9/1944) e ora dell’inizio di tale operazione, che è da attuarsi di concerto con la Brigata Nera di Vicenza.

 

Confrontiamo questa segnalazione con altre che ci vengono dal Palazzo Littorio e concordano. Lievore viene inviato a Bassano, si incontra con Manfrè che informa sollecitamente i partigiani del Grappa di quello che sta per succedere, invitandoli a trasferirsi nottetempo sul Pian del Cansiglio, dove sarebbero stati accolti dalle brigate partigiane colà esistenti e che erano state avvertite tramite una loro staffetta da noi ospitata proprio in quei giorni.

 

Malauguratamente l’invito non viene accolto. Forse nella mente dei quegli uomini c’è il ricordo della eroica vittoriosa difesa nell’altra guerra, l’inno Monte Grappa tu sei la mia patria,  o forse influisce su di loro la presenza di una “Missione Inglese” (che però a noi non ci risulta allora tale, ed infatti noi non potremo più rintracciarla in alcun modo), fatto sta che essi decidono di rimanere e si difendono così accanitamente che la lotta va avanti per ben sei giorni.

 

Soltanto pochi di essi riescono a filtrare attraverso le linee nemiche e a salvarsi. Fra questi Valentino Filato (Villa) ferito, che si rifugia fra amici.

 

Dopo un incontro con Gino il 14 Ottobre 1944 Villa si assume l’incarico di rintracciare i superstiti e formare così un nuovo gruppo che sotto la sua guida si denominerà Brigata Alpina “Giovane Italia”. Da notare, e ciò risulterà più amaro per noi, il fatto che abbiamo assistito alla sera del 20 alla partenza della Brigata Nera per il rastrellamento commentandolo ironicamente, in quanto ci ritenevamo sicuri che quella imponenza di mezzi sarebbe stata un giro a vuoto inutile.

 

Magazzini viveri

 

Firenze viene liberata a metà Agosto del 1944, dopo vari giorni di lotta per le strade e con la popolazione barricata nelle case. Gli abitanti di Vicenza, uomini dai 14 ai 60 anni, e le donne dai 19 ai 55 anni, sono forzatamente impiegati dai tedeschi nello scavo di fossati anticarro tutto attorno alla periferia della città.

 

Si dice appunto forzatamente in quanto ci sono state esattamente due chiamate su “Il Popolo Vicentino” del 7 Settembre e del 26 Settembre rimaste inascoltate ed allora i tedeschi attuarono dei rastrellamenti improvvisi portando i cittadini, così presi, nei posti degli scavi suaccennati. Questi due fatti che sembrano indipendenti fra di loro, in realtà non lo sono, aleno per noi. Infatti si pensa che i tedeschi vogliano fare una difesa su questi luoghi e pertanto la vita civile sarà totalmente bloccata.

 

Nasce così lidea di poter aiutare la popolazione a superare i giorni cruciali di un eventuale assedio fornendole i generi alimentari per poter sopravvivere. I magazzini viveri, già preparati per il Soccorso Rosso vengono aumentati e posti in punti strategici della città. Sono dotati di pasta, riso, burro fuso, olio e sale. Si pensa inoltre di mettere della grappa o cognac che potrebbero essere utilizzati anche come disinfettante.

 

Il pane ci sarebbe, ma dopo un breve periodo di tempo ammuffisce e allora Bruno, con la sua fervida fantasia, costruisce nella sua officina meccanica un attrezzo a varie punte con cui, in un panificio amico, si fora la pasta di pane passata attraverso dei cilindri e vengono così sfornate le gallette, che come si sa durano moltissimo. Le gallette opportunamente incartate vengono messe in scatole di cartone o legno e avviate ai magazzini.

 

Dure ore di lavoro di giorno e di notte solo per questo, ma i magazzini sono pochi e con poca roba ciascuno per evitare perdite gravi. Bisognerebbe trovarne altri ed anche altri generi alimentari ma si pensa di avere tempo. Infatti siamo al tre Dicembre e mentre Giordano e Bruno si avviano alla riunione di Villaverla si fermano per trattare l’acquisto di grappa, cognac e farina da prelevare al ritorno. Ciò non potrà avvenire in quanto alla sera stessa sono prigionieri delle S.S.

 

Concorsi e ordinanze

 

Il “popolo Vicentino” del 28 Agosto 1944 fa conoscere alla cittadinanza che la Commissione giudicatrice del Concorso, indetto dal Dopolavoro  Provinciale, per cantanti o attori dilettanti, sarà composta dal  Presidente del Dopolavoro Aldo Calvo e dai camerati Girolamo Breganze, Vere Paiola, Carlo Gabetti, Ermete Fontana.

 

“Prosa, musica leggera ed alrte varia, per il trionfo della causa fascista”. Dieci giorni dopo, sempre su “Il Popolo Vicentino”, si chiamano per il servizio del lavoro gli uomini dai 14 ai 60 anni. Ma, evidentemente, questi si sono quasi tutti iscritti al concorso dilettantistico, perché la chiamata non ottiene i risultati voluti e allora dopo pochi giorni si comunica che viene istituito il servizio obbligatorio del lavoro in zone vicine a Vicenza, consigliando di portare con sé coperte e cucchiaio.

 

Affinchè gli uomini possano vincere la solitudine (si sa che l’imperativo dell’epoca era il motto “Vincere e vinceremo”), si ha un’impennata d’ingegno; con lo stesso comunicato si istituisce il servizio obbligatorio anche per le donne dai 18 ai 55 anni. In certo qual modo questa è l’anteprima per la parità dei diritti.

 

Ma, anche con queste allettanti prospettive, l’ordinanza cade nel vuoto sicchè esasperati fascisti e tedeschi gettano la maschera iniziando una autentica caccia all’uomo, con i rastrellamenti per le strade o bloccando interi isolati di case, fatti questi che tutti conoscono o ricordano.

 

Prelevamenti abusivi

 

Sia pure poco e male, i partigiani devono pur mangiare. E’ una necessità impellente, specie quando dal C.L.N. non si può mandare niente. Si impone così la legge del prelevamento forzoso effettuato un po’ dovunque. Il C.L.N. ed il Comando Militare provinciale sono informati tempestivamente anche perché il superfluo deve essere ripartito con le altre formazioni.

 

Così avviene. Ci sono però dei prelevamenti che non vengono segnalati e avvengono con una certa regolarità. Si nota inoltre che questi prelevamenti sono sempre di denaro, oggetti d’oro, preziosi, ec. E mai di generi alimentari o vestiario. Risulta così evidente che ci sono degli abusivi e, poiché “Il Popolo Vicentino” nel darne notizia, lo fa seguire da commenti addebitanti i fatti succitati ai “fuorilegge al soldo del nemico”, che siamo noi, ci pare giusto cercare e trovare il filo di questi prelevamenti abusivi.

 

Si danno perciò le disposizioni necessarie alle squadre, che iniziano una serrata sorveglianza attorno alla città.

 

E i risultati non si fanno attendere troppo. Vengono comunicati al dott. Luigi Follieri che, esperite le indagini, arresta negli ultimi giorni di agosto nove dei componenti di questa “banda”, che ha fra i suoi elementi degli appartenenti alla Polizia Ausiliaria del Capitano Polga e alla Milizia Ferroviaria.

 

“Il Popolo Vicentino” annuncia il 31 Agosto 1944 l’arresto facendo un panegirico all’abilità della polizia. Il 2 Settembre 1944 i nove vengono condannati a morte e tutti chiedono la grazia. Il 4 Settembre 1944 sei della Polizia Ausiliaria e uno della Milizia Ferroviaria vengono fucilati dietro al campo di calcio. Ai due civili la pena viene commutata in venti anni di reclusione. A costoro, secondo nostre informazioni e sulla base di un documento fattoci avere dal carcere da Oddo Cappannari e subito fotografato, devono esserne aggiunti degli altri, sempre della Polizia Ausiliaria.

 

Losco e Polga si incontreranno ancora e più precisamente sulla strada di Priabona di Malo nelle prime ore del mattino del 28 Novembre 1944, quando il Polga verrà ucciso dal Losco (qui il lettore deve fare uno sforzo di comprensione poiché il testo non è chiarissimo: il Losco fece parte della “banda Righetto” e, come dicono gli autori, fu coinvolto nelle rapine a torto addebitate agli uomini della resistenza, ndr.).

 

Fiorenzo Costalunga

 

Il sei Settembre 1944 a S.Vito di Leguzzano veniva fucilato Fiorenzo Mario Costalunga (Argiuna). Fu con noi fin dal 25 Luglio 1943 e dopo l’8 Settembre, come ricordiamo in un’altra parte, venne arrestato dai fascisti e passò parecchio tempo in carcere. Nelle formazioni di montagna, oltre alle normali funzioni, adempiva a quello che riteneva un dovere sociale: insegnava ai giovani, riversando su di essi quella cultura e quell’umanesimo di cui era tanto ricco e per cui a suo tempo era stato espressamente richiesto dal Comando della Garemi.

 

Arrestato nel paese di San Vito di Leguzzano, come ultimo desiderio, chiese ed ottenne di essere fucilato fuori dal paese onde evitare alla popolazione, e in specie alle donne e bambini, quell’orrenda visione. Anche in quel momento rivelava la sua grande umanità.

 

A liberazione avvenuta la Commissione Triveneta decise di decorarlo con la medaglia di bronzo al valor militare alla memoria. A nostro giudizio avrebbe meritato molto di più, ma forse la Commissione pensava più ai vivi presenti, che ai morti sicuramente assenti. Con la costituzione della Divisione Vicenza, nel Febbraio del 1945, venne formata in suo onore una Brigata Argiuna, che ne sarà la più grossa formazione, e che avrà come comandante il valoroso “Tom”, al secolo Leonardo Beltrame, reduce da una tragicomica fuga dall’ospedale, dove si trovava per una operazione chirurgica.

 

Alberta Caveggion (Nerina)

 

Nel Novembre 1944 il Maggiore J.P. Wilkinson (Missione Inglese Freccia) constata i buoni risultati ottenuti con il Comando Gruppo Brigate Garibaldine S.A.P. Ciò coincide col suo pensiero di costituire un unico Comando e perciò dopo di essersi consultato con i maggiori esponenti politici e militari decide di indire una riunione di tutti i rappresentanti le formazioni di ogni colore politico con l’avallo del C.L.N.P. che delega a tal uopo l’avv. Ettore Gallo (Maestro).

 

La riunione è fissata per il giorno 11 Novembre in una villa a Thiene, ma sorge una difficoltà derivata dal fatto che Freccia è in divisa e non vuole mettersi abiti civili per effettuare il trasferimento dal suo rifugio di Tonezza a Thiene. Visto così nessuno vuole accompagnare Freccia. C’è però Alberta Caveggion (Nerina) che partecipa alla lotta dall’8 Settembre 1943, prima come base di collegamento, poi come staffetta, infine come segretaria del Comando Guastatori. Essa fra un incarico e l’altro porta a termine numerose e pericolose missioni fra cui il trasporto a Vicenza di esplosivo e di armi leggere, ed è proprio lei che si offre a far da guida al prudente Maggiore Wilkinson.

 

Giordano procura un impermeabile chiaro per ricoprire il lunghissimo Freccia e Nerina parte da Villaverla con Gino annotando scrupolosamente per strada le difficoltà per il ritorno. Da Forni, a notte fonda, raggiungono sull’altro versante Tonezza ed il rifugio di Freccia. Passano qui la giornata e alle prime luci dell’alba ridiscendono in pianura. Riprendono le biciclette e si avviano. Tutto procede bene per i primi chilometri, ma appena passato Piovene Rocchette c’è un munitissimo posto di blocco.

 

Esso è posto, ironia del caso, all’altezza delle mura del Cimitero. Si sentono perduti, ma la brava Nerina con moto istintivo allunga la mano con gesto familiare verso il maggiore, gli sorride e i militi di guardia lasciano passare indisturbati quello che essi credono di vedere: il contadino con la figlioletta. Evidentemente quel sorriso e quel toccarsi mano nella mano è bastato per infondere sicurezza e incolumità ai due temerari. Per tale azione si era ventilata la proposta al comando per una medaglia al valore.

 

Un carico di salgemma

 

Leo Marchetto, compagno responsabile della zona di Lonigo comunica a Emilio che il prof. Zorzi del P.d.A. di Cologna Veneta, dispone di un buono per il prelevamento di 500 quintali di salgemma, depositati nello stabilimento della Montecatini di Vicenza. Il prof. Zorzi, che aveva avuto il buono dal sig. Benini, proprietario di una fabbrica di sottaceti, è disposto a cederne la metà a noi a 30 lire il chilogrammo.

 

Gino, informato da Emilio, accetta l’offerta e incarica Giordano Campagnolo di collegarsi con Leo per il ritiro del buono, e Vittorio Centofante di venderlo, e poiché il prezzo del sale al mercato nero è di oltre 300-400 lire al Kg., si decide di venderlo a 50 lire al Kg. Per non speculare sulla popolazione. Centofante si fa aiutare nella vendita da Proto e Groppo.

 

Passano però i giorni e Leo non si vede e quando finalmente giunge a Vicenza con il buono, ci si accorge che la sua validità scade entro quattro giorni. Bisogna far presto, perciò Giordano si mise alla ricerca dei mezzi di trasporto aiutato da Crema che ingaggia due camion; ma Centofante, che aveva già impegnato dei carretti, gliene fa disdire uno.

 

Intanto arriva a Vicenza Renzo, il nipote del prof. Zorzi per la riscossione del prezzo pattuito e per il carico degli altri 250 quintali. Egli è un giovane sui 22 anni circa, allampanato, molto simpatico. Conversa con Giordano ed Emilio dimostrando una vivida intelligenza e molta comprensione. Infatti gli viene spiegato che il salgemma non sarà venduto ad un prezzo superiore alle 50 lire il Kg. Per la ragione già detta; è perfettamente d’accordo anche sulla nostra richiesta di regalarcene un po’ per il Soccorso Rosso ed i magazzini viveri.

 

Dalle prime carrette, che con molta faciloneria non vengono scortate, ne viene asportato un certo quantitativo dai carrettieri in cambio di vino. Ne nasce un certo scalpore tanto che, messa sull’avviso, la Brigata Nera di Sandrigo piomba in casa Centofante e sequestra tutto il carico.

 

Il carico venduto da Proto va benissimo. Il terzo carico non va venduto perché Groppo aveva esibito al compratore del sale da cucina molto diverso dal salgemma. Esso viene scaricato nel magazzino di Isidoro Alcetta (Doro). Il giorno dopo non si può caricare perché Centofante, non potendo più ricevere il carico nella sua casa, ha licenziato anche il camion rimastoci. Ci si deve dunque arrabattare con un camion di fortuna, che al terzo giorno, scortato da Giordano e da Zorzi in bicicletta, parte con l’ultimo carico per essere depositato nel magazzino di Doro.

 

Senonchè, imboccata la via Bonollo, subito dopo l’arco delle mura cittadine, si rompe una balestra del camion, immobilizzandolo. Stiamo esaminando il danno, quando due agenti della Polizia Economica (così si chiamava allora la Guardia di Finanza) non si sa bene se in agguato o per coincidenza nei paraggi, si avvicinano e sequestrano il carico; sia Giordano che Zorzi tentano con ogni mezzo di distoglierli dal loro proposito, ma invano; anzi poi, interrogati separatamente, si cerca di incriminarli per tentata corruzione.

 

Va da sé che gli interrogatori si concludono con il loro rilascio, ma il carico è temporaneamente perduto. Cosicchè adesso ce ne sono due da recuperare; bisogna fare presto ed in silenzio, affinchè non si scopra il retroscena che può essere di grave danno per il sig. Benini e per l’attività clandestina.

 

Veloci corse in bicicletta a Lonigo, a Cologna, dal prof. Zorzi, dormire per terra, in case sconosciute, ma sempre tanto ospitali, e finalmente ritorno a Vicenza, con un documento in tedesco, che tradotto serve per tutti e due i carichi. Quello sequestrato dalla Polizia Economica e gli altri 250 quintali prendono la via di Bovolone (VR). Il carico sequestrato dalla B.N. di Sandrigo ci viene restituito il 21 settembre per mezzo di un fascista di Palazzo Littorio che Bruno e Giordano avevano da tempo agganciato e che viene corrotto con 20.000 lire.

 

Questo fascista, che conoscevamo molto bene da tanti anni e che avevamo avvicinato con intenti ben precisi subito dopo l’8 Settembre, ci era stato utile in parecchie occasioni. Gli avevamo detto che ci fosse stato amico (si fa per dire) lo avremmo iscritto in una cellula segreta e che pertanto, a liberazione avvenuta, non avrebbe avuto alcuna noia.

 

Egli perciò si riteneva al sicuro da tutte le parti. Il luogo dei nostri incontri era il Circolo rionale fascista “Italo Balbo”. E fu proprio lì che Bruno e Giordano si fecero promettere il rilascio del sale sequestrato. C’è però un grosso intoppo. Bisogna andare a prendere il buono del rilascio a Palazzo Littorio in quanto il nostro amico è occupatissimo per il fatto che proprio in quel giorno c’è il cambio della guardia tra il federale uscente, Innocenzo Passuello, ed il nuovo federale, colonnello Raimondo Radicioni.

 

E Giordano, malgrado le insistenze di Emilio che lo sconsigliava di entrare in quel covo, dato che era molto ricercato, dopo un comico episodio con la sentinella di guardia va e riesce nell’intento. Calcolando che bisogna tenerne chilogrammi 200 per i magazzini e che le spese sostenute aumentano vertiginosamente, si decide di far vendere il salgemma a 53 lire il Kg.. Bruno e gli altri si accollano questo compito e tutto va bene.

 

Il denaro: un problema

 

Si fanno i conti con Zorzi e Doro Alcetta cassiere del PCI. Zorzi ha una fretta del diavolo di andarsene al più presto, quando vede Doro che gli sta contando il denaro. Risulta chiaro che non ne ha mai visto tanto in vita sua. Doro gli versa lire 456.000 e con una stretta di mano e un ciao per ricevuta egli se ne va.

 

Doro è felicissimo; ha infatti incassato l. 417.000, di cui però deve dare l. 20.000 al fascista di Palazzo Littorio. Fa osservare a Giordano che non è prudente per lui fargli il versamento direttamente, perché se sono preso, dice, per me pazienza, ma la cassa deve essere sempre al sicuro.

 

Il versamento delle 20.000 lire al fascista viene perciò fatto da Giordano, sulla strada del mercato ortofrutticolo, con Doro che osserva, non visto, da una finestra del mercato stesso. Ora la via si chiama Btg. Monte Berico. Tutti coloro che hanno fin qui sempre lavorato, sono soddisfatti. C’è invece chi non lo è, e con chiacchiere e calunnie (si arriva a dire che Giordano e Bruno avrebbero guadagnato lire 1.500.000) fanno sì che, dopo di aver sopportato per un po’ in silenzio, Giordano e Bruno chiedono di essere giudicati dai compagni responsabili del partito con la partecipazione di coloro che li accusano.

 

Una riunione viene perciò indetta in località Stazione Villaverla Montecchio Precalcino per il 3 Dicembre 1944. I giudici sono Emilio Lievore, Enrico Busatta, Gino Cerchio, Plinio Quirici. Accusatori: Domenico Tescaro, Vittorio Centofante, Vittorio Giordana e un certo gruppo estraneo all’organizzazione clandestina.

 

Accusati Bruno e Giordano Campagnolo. E’ inoltre presente come osservatore l’ing. Lamberto Graziani (Lambe). Gli accusatori non fanno altro che dire di aver sentito che e i si dice che, ecc. ecc. Richiesti di portare delle prove di quanto detto essi dichiarano di non averne e parlano delle chiacchiere sentite in città.

 

Gli accusati non fecero che esibire i conti eseguiti con Doro Alcetta raccontando come si svolsero i fatti. Esaminati i conti e trovatili esatti, Emilio Lievore riassumeva il tutto e si scagliava contro gli accusatori definendoli un branco di poltroni e di cialtroni. Dichiarava inoltre testualmente: “I fratelli Campagnolo hanno sempre lavorato bene e disinteressatamente e quando ho avuto bisogno che qualcuno facesse un lavoro qualsiasi, non trovavo nessuno all’infuori di loro, che malgrado avessero il loro compito specifico, si assumevano o portavano a termine il loro incarico. Mi assumo la piena responsabilità di quanto hanno fatto o di quanto faranno!”

 

Dichiarazioni più o meno analoghe facevano Busatta, Cerchio e gli altri. Gli accusatori chiedendo scusa ai Campagnolo si allontanano dal luogo.

 

Arrivano le S.S.

 

I rimasti discutono per decidere il da farsi, in seguito agli arresti del Comando Regionale a Padova e del Segretario (Nino Strazzabosco) del Comando Militare Provinciale di Vicenza. Dopo pochi minuti irrompe nella fattoria un gruppo di S.S. italiane al comando del tenente Usai e del maresciallo Castellari, appartenenti alla S.D. del reparto Carità. Arrestano subito Crema, Giordano e Graziani, e, dopo un lungo inseguimento, Bruno Campagnolo che attira su di sé le S.S. per permettere agli altri la fuga. Infatti Emilio e Plinio, con una sciarpa, trascinano Gino ancora convalescente.

 

Poco dopo Plinio si avvia a piedi a Vicenza e i due, attraversato Sandrigo, si recano ad Ancignano dove verranno ospitati presso i signori Rossi. I quattro prigionieri vengono portati a Vicenza, in Via Fratelli Albanese e lì nella caserma della S.S. Bruno, Giordano e Lambe vengono sottoposti ad un duro trattamento. Il giorno successivo Crema viene liberato da Usai con l’impegno di favorire la cattura di Gino e di Emilio (vedi confessione Usai nel “Ritorno a Palazzo Giusti” ed. La Nuova Italia, Firenze 1972).

  

Vicenza clandestina - 4 

 

 

 

 

Una pagina oscura

 

Nella serata del 17 Dicembre 1944 Crema va a casa della Olimpia e comincia a richiederle dove si nascondono Gino ed Emilio. Lei lo rimprovera dicendogli che nessuno deve sapere questo, data la caccia a cui erano sottoposti, dopo l’arresto dei fratelli Bruno e Giordano Campagnolo. Il Crema ritorna la sera dopo, rinnova le sue richieste, poi le chiede se tiene ancora i messaggi ricevuti e da smistarer nel sacchetto del riso o nella federa del cappello del suo povero soprabito.

 

Poi le racconta che è in difficoltà economiche, in quanto ha una grossa famiglia da mantenere, al che la Olimpia gli regala della pasta alimentare, del riso e dello zucchero e dei salamini. Vedendo ciò Crema si voltò e pianse. Perché piangi? Gli chiese la Olimpia. Ed egli rispose: sei troppo buona! E in fretta se ne andò.

 

Alla sera dopo alla stessa ora entrarono i poliziotti fascisti e guardarono immediatamente nel cappello e nel sacchetto di riso. Portarono via la Olimpia che venne sottoposta a tutte le torture possibili e immaginabili. Non le descriviamo perché sono troppo raccapriccianti. Tutto questo avvenne per parecchi giorni di seguito e sempre per conoscere il rifugio di Gino e di Emilio.

 

Dopodichè venne proposta per l’invio in un campo di concentramento, ma fortunatamente in suo aiuto venne il capitano medico tedesco che, essendo al corrente del suo eroico comportamento, respinse la richiesta avanzata dal medico italiano.

 

Bisogna infatti sapere che all’uscita dagli interrogatori i militari fascisti si schierarono sull’attenti ai suoi lati. Anche in questo episodio l’umanità del tedesco ben più valse della decantata fratellanza italiana. Nel frattempo Gino si era nascosto molto bene; solo alcuni elementi del  partito comunista e del Comitato Militare Provinciale conoscono il suo rifugio in Sandrigo.

 

Grande è pertanto la sua sorpresa quando (forse per caso) incontra Crema che gli si qualifica come corriere (staffetta), ma Gino che è a conoscenza dell’arresto, e del suo successivo misterioso rilascio, diffida. Quando questi però si ripresenta con una lettera a firma Nino per una riunione si attenua la diffidenza di Gino, che si reca con la Nerina all’appuntamento dovendo rappresentare anche Emilio, essendo questi impossibilitato ad intervenire perché privo di bicicletta, portataglia via dalla S.S. nella retata del 3 Dicembre.

 

La riunione politica-militare si deve tenere nella casa di Emilio Bovis situata nei pressi del cimitero a Grossa di Gazzo Padovano, il 30 Dicembre 1944. Essa ha lo scopo di riorganizzare le fila dopo l’ondata di arresti avvenuti ed in ossequio alla disposizione emanata il 16 Dicembre 1944 dal C.M.R.V. (Comando Militare Regionale Veneto, n.d.r.) che invita i C.M.P. alla creazione di comandi di zona, di piazza,ecc.

 

Dalla comunicazione scritta ricevuta essi devono arrivare con un intervallo di cinque minuti uno dall’altro. Sulla strada che Gino deve percorrere si trova un reparto della S.D. che lo arresta assieme alla sua segretaria, la staffetta Alberta Caveggion (Nerina). Dopo essere stati perquisiti vengono portati subito a Vicenza e sottoposti alle cure di quel malefico reparto della banda Carità.

 

Nella stessa mattina della cattura di Gino con l’intervallo descritto negli inviti vengono successivamente arrestati Bovis, Brunello, Maule, Zaccaria e Bruno Magagnato.

 

Villa Cabianca

 

I gerarchi di Vicenza e Verona e alti funzionari delle S.S. sfollavano a Villa Cabianca, in località Longa fra Sandrigo e Marostica. Gino, messo al corrente da Lievore, pensa di colpire i gerarchi nel loro rifugio e studia la possibilità di un’azione che rechi un colpo fisico e morale.

 

Ricerca gli uomini che possono penetrare nel recinto della villa e li trova in alcuni giovani partigiani, operai della organizzazione TODT, che erano occupati in lavori di muratura all’interno dello stabile. Trovati gli uomini occorrevano 50 Kg. Di esplosivo che, intasato in apposite buche, avrebbe fatto un bel botto. Ci voleva un mese di tempo per preparare e portare a termine il lavoro. Un tempo troppo lungo; è quindi difficile tenere coperta la preparazione dell’azione.

 

Come se fossero a sentore di quanto si preparava, da parte dei fascisti viene propalata la seguente notizia: qualora si fosse attentato alla villa essi avrebbero raso al suolo i paesi per un raggio di 5 chilometri. Una minaccia vana: rappresaglie ce ne sarebbero state, ma nel piano di Gino erano valutate.

 

La minaccia della feroce rappresaglia, l’obiettivo posto in una zona di residenza degli elementi di altre formazioni più legate al quieto vivere, recano un certo disagio fra gli antifascisti nello stesso Comando Provinciale.

 

Gino insiste per l’azione mentre Prandina e i suoi collaboratori non sono d’accordo. Uno spione fascista sorprende una discussione fra partigiani sostenitori del pro e contro l’azione stessa. La spia, pedinando due partigiani, scopre il rifugio di Prandina, che viene arrestato; questo fatto ritarda il rifornimento dell’esplosivo e fa aumentare il disagio.

 

L’azione ritardata, e in seguito sospesa, viene annullata dopo l’arresto di Gino. La sera stessa dell’arresto di Prandina -  31 Ottobre 1944 – si trovano in un campo presso Brerssanvido una cinquantina di giovani, la maggior parte di S.Pietro in Gù, tutti armati in modo disparato; la riunione è tenuta da Nino e Ermes. Vi giunge anche Gino che propone un’azione immediata contro il posto di polizia di Sandrigo, dove è rinchiuso Prandina.

 

Il piano comportava un attacco diretto contro la prigione, un’azione diversiva contro la sezione di autoblinde dislocate nel paese. Il piano viene bocciato poiché si ritiene di più facile riuscita un attacco al trenino che avrebbe trasportato Prandina a Vicenza. Azione non eseguita causa la forte concentrazione di forze fasciste di scorta. Prandina moriva a Belsen il 3 Maggio 1945.

 

Ponte dei Marmi

 

La notte del 13 Ottobre 1944 in località Olmo, con una fortunata azione in due tempi, il Btg. Guastatori della zona ovest di Vicenza riesce a fare deragliare un treno militare distruggendo due locomotive, tre carrozze ferroviarie e dei carri munizioni, che fanno numerose vittime fra gli ufficiali e soldati tedeschi fra i quali ci sono sei ufficiali superiori.

 

Il Comando Alleato faceva pervenire un plauso per questa ed altre azioni con il tele n.84 del 21 Ottobre 1944. Da parte tedesca si vuol porre in atto una rappresaglia contro i paesi vicini, ma l’intervento del vescovo di Vicenza Mons. Carlo Zinato fa desistere i tedeschi dal loro proposito. Il 26 Ottobre 1944 il giornale “Il Popolo Vicentino” dava notizia “dell’attentato terroristico contro una tradotta militare tedesca in località Olmo” e lo faceva seguire da un appello alla popolazione del Capo della Provincia invitante la popolazione a collaborare con la Polizia e a denunciare all’autorità stessa chiunque venisse sorpreso in atteggiamento equivoco, minacciando gravissime misure da parte dell’autorità germanica contro le persone sospette e i loro familiari, ecc. ecc.

 

Nella notte del 9 Novembre 1944 i partigiani distruggevano un’arcata del ponte su cui passano le linee ferroviarie Vicenza-Padova, Vicenza-Treviso e Vicenza-Schio. Una locomotiva in transito si incastrò nell’apertura dell’arcata in modo tale che si dovette, dopo  inutili tentativi di recuperarla, farla precipitare nel fiume sottostante dopo aver aumentato così lo squarcio prodotto dai guastatori della zona est.

 

Il 12 Novembre “Il Popolo Vicentino” in seconda pagina, terza colonna, dava notizia che nella notte dall’8 al 9 Novembre erano accaduti nuovi atti di sabotaggio. Ricordando quello della tradotta, dove ammetteva la morte di ufficiali e soldati tedeschi, comunicava che per misure di rappresaglia dieci appartenenti a gruppi che avevano eseguiti atti di sabotaggio e rapina erano stati fucilati e i loro corpi sarebbero stati esposti quarantotto ore sul posto del sabotaggio (Ponte dei Marmi).

 

Questi giovani che furono prelevati dalle carceri di Padova, di cui diamo i nomi: Cater Walter – Gomo Lino – Festini Rino – Menaschi Angelo –Molon Guido – Montemezzo Aldo – Novarrino Massimo – Paina Silvio – Pasqualin Luigi – Mastini Renato, non risulta che appartenessero ad alcuna formazione partigiana vicentina.

 

Dopo il loro sacrificio, la Divisione Vicenza si onora di annoverarli fra i suoi componenti. Il Comune di Vicenza ha dedicato ad essi un cippo e la via dove avvenne l’eccidio, chiamandola “Via X Martiri”.

 

Si venne a sapere poi che essi vennero prelevati da un carcere di Padova in quanto che il comando tedesco di Vicenza aveva promesso al Vescovo Mons. Zinato che nessun vicentino sarebbe stato colpito per rappresaglia.

 

Nel corso di una lunga conversazione avuta con Giordano Campagnolo, il vescovo di Vicenza Mons. Carlo Zinato dichiarò che quando seppe delle fucilazioni avvenute, rifiutò di ricevere l’ufficiale tedesco di collegamento con queste precise parole: “mi rifiuto di ricevere chi non mantiene la parola data”. L’ufficiale se ne andò irritato. Per ritornare poco dopo con le dieci carte d’identità dei fucilati con cui dimostrò che nessun vicentino era fra di loro. Malgrado ciò il Vescovo mantenne il suo fermo atteggiamento di condanna per le fucilazioni di rappresaglia.

 

Podestà?

 

Alcuni fatti mettono in evidenza la costante presenza dei nostri compagni, sempre pronti a sfidare e combattere i nemici, sia per la buona condotta della lotta, sia per lenire i sacrifici della popolazione. Ne citiamo alcuni: 20 Novembre 1944. A Torrebelvicino e a Schio, dalla polizia di un reparto della Tagliamento al comando del Tenente Bertelli, detto “Barba” e dalla Brigata Nera sono arrestati numerosi lavoratori e tra essi diversi giovani donne tessili alcune delle quali, dopo i soliti interrogatori, vengono violentate.

 

Sotto le torture le persone fanno delle ammissioni, che portano ad una catena di arresti che minacciano di non fermarsi mai. Infatti  Franco Pozzer, sotto le atroci torture inflittegli (gli vengono applicati dei ferri roventi sotto ai piedi) fa il nome di un suo amico, Roberto Calearo, che viene arrestato a Vicenza il 22 Novembre.

 

Nel frattempo Franco Pozzer, rinvenuto, si rende conto di quello che gli è sfuggito e preso da sconforto si taglia le vene dei polsi. La carceriera s’accorge e benda il Pozzer poi commossa tenta di persuaderlo a fuggire, in quanto egli non vuole che la carceriera possa passare dei guai per causa sua.

 

Tutta la città di Schio viene a conoscenza di questi fatti. In una riunione in casa di Olimpia Menegatti, con lei presente e la sua figliola Ines, Paola Baron, staffetta di Schio, Emilio e Alfredo Lievore e Giordano Campagnolo, si studia la situazione e il modo di far cessare gli arresti, che, prolungandosi, minacciano il rifornimento delle formazioni partigiane nella zona sopra Schio.  Alfredo Lievore inviato da Schio è seriamente allarmato per questa eventualità. I presenti decidono di far conoscere i fatti concernenti le donne violentate e l’episodio di Pozzer con la carceriera, alla signora Angelini, per un’azione presso il Capo della Provincia (Prefetto) da lei ben conosciuto.

 

Giordano si reca pertanto dalla signora Angelini ed essa, impressionata dalla gravità dei fatti espostegli, ritiene più opportuno che sia Giordano stesso a conferire col Capo della Provincia e a tasl uopo gli fa subito una lettera di presentazione.

 

Ritornato Giordano in casa Menegatti, si decide in una seconda riunione che egli tenti l’avventura, malgrado sia ben conosciuto e ricercatissimo, tanto alta è la posta in gioco.

 

Il mattino seguente, 27 Novembre 1944, Giordano viene ricevuto dal Capo della Provincia, Generale Edgardo Preti, a cui si qualifica come partigiano, facendogli però intendere che gli andava ad esporre dei fatti gravi da italiano ad italiano, lasciando da una parte le rispettive posizioni politiche.

 

Colpito dalla correttezza di Giordano, il Gen. Preti, dicendo di ignorare i fatti espostigli, chiede di vedere le ragazze violentate.  Giordano lascia la Prefettura, dopo un certo percorso, per sviare eventuali pedinamenti, incontra i compagni, e Paola Baron viene subito inviata a Schio per invitare le “prove” a recarsi a Vicenza. Nel frattempo a Schio i fratelli Lievore, in casa di Massimo Grotto, ricopiano con una macchina da scrivere manifestini, che distribuiti agli operai degli stabilimenti, incitano ad una manifestazione per quanto sta avvenendo.

 

In seguito a ciò uno sciopero venne effettuato in tutti gli stabilimenti della zona di Schio e dintorni. Al mattino seguente 28 Novembre 1944 tre ragazze accompagnate da Giordano erano pronte a presentarsi davanti al Capo della Provincia. Il confronto non sarà però più necessario in quantochè la Prefettura è al corrente sia del fatto che della rimozione del Ten. Bertelli avvenuta anche per l’intervento di un colonnello della S.S. mandato da Verona.

 

Fra tante cose gravi ce n’è una buffa da riferire ed è l’offerta del Prefetto e del suo segretario dott. Umberto Milani a Giordano di diventare Podestà di Vicenza al posto dell’ing. Donelli allora in carica. Offerta naturalmente rifiutata.

 

Torna la calma nella zona di Schio, che può continuare l’opera di aiuto alle formazioni di montagna. Di lì a pochi giorni e più precisamente il 6 Dicembre 1944 Donelli viene estromesso e al suo posto diventa Podestà Antonio Corna. Durante una riunione del C.L.N.P. in Via Mure San Rocco a Vicenza, Gino ed Emilio hanno il loro da fare per respingere una assurda richiesta formulata da un rappresentante della D.C.

 

Egli vuole fornire le coordinate dell’ospedale di Caldogno agli Alleati, perché effettuino un bombardamento in quel luogo in quanto vi sono degenti quasi tutte le truppe delle S.S. che si sono distinte per la loro ferocia nella lotta antipartigiana. Mentre Gino si rifiuta persino di discutere la proposta affermando che non farà richieste di tal genere alla missione alleata, Emilio ritiene che un tal gesto ci metterebbe alla stessa stregua di quei feroci nemici, che sono sempre stati degli assassini di feriti, ecc. Ciò basta per ricondurre alla ragione il focoso richiedente.

 

Alla forca!

 

Gli Alleati continuano a bombardare Vicenza e Provincia, interventi inutili in quanto i Guastatori rendono inefficienti le linee di comunicazione che collegano Vicenza con Verona, Padova, Bassano, Treviso, Schio. Nelle nostre riunioni si discute come far cessare le azioni Alleate, che suscitano nella popolazione danneggiata rancori contro di noi e gli Alleati stessi. Si decide che Gino si rechi presso la Missione Alleata e trasmetta un telegramma di protesta chiedendo energicamente la cessazione dei bombardamenti.

 

La Missione paracadutata si rifiuta di trasmettere e Gino torna scornato da Emilio a cui chiede se può parlare a nome e per conto del C.L.N.P. di Vicenza. Ottenuta subito l’autorizzazione Gino torna alla Missione Alleata e qualificandosi sia come comandante partigiano riconosciuto, che come rappresentante del C.L.N.P. si impone loro minacciandoli di denuciarli, a liberazione avvenuta, ai Tribunali Militari competenti, per insubordinazione, ecc.

 

Il telegramma viene così trasmesso, e i bombardamenti cessarono. Gino può così comunicare ad Emilio il buon esito e dirgli il testo del telegramma. Il C.L.N.P. viene informato di quanto sopra, lo approva, inoltre accoglie la proposta di Faccio di inviare analoga protesta a mezzo lettera, dato che egli aveva la possibilità di farla pervenire agli Alleati per vie clandestine.

 

Il 4 Dicembre 1944, quando Faccio fu arrestato dalla S.D. del maggiore Carità, pezzi della malacopia vennero trovati nel cestino della carta straccia. Vennero compiuti numerosi altri arresti e l’azione del Btg. Guastatori subì un rallentamento (sarebbe meglio dire una brusca fermata, se vediamo la relazione del Btg. Guastatori).

 

Pertanto gli Alleati ripresero col ritorno del bel tempo le loro azioni di bombardamento sulle linee di comunicazione. I fascisti allora, in totale malafede, monteranno così l’accusa infame che taluni degli esponenti del Comitato Vicentino di liberazione avevano chiesto i bombardamenti Alleati sulla nostra città.

 

Così infatti si esprime “Il Popolo Vicentino” del 15 Marzo 1945 in un articolo con un titolo molto significativo “Alla forca”. Che essi fossero in malafede lo prova anche il fatto che la pubblicazione di detto articolo avviene dopo tre mesi e mezzo dall’arresto di Faccio.

 

Successivamente, e più precisamente il 27 Giugno 1945, nel corso del processo intentato contro il Direttore Responsabile de “Il Popolo Vicentino”, Angelo Berenzi, questi, dichiarando che la pubblicazione dell’articolo succitato gli era stata imposta dal maggiore Carità, diceva di essere stato in ciò turlupinato da Usai e dal capitano Uderzo, che avrebbe confidato l’accusa suddetta, risultata poi insussistente.

 

Inoltre affermava: “ Da uomo a uomo chiedo scusa al signor Faccio di averlo ritenuto colpevole di un delitto obbrobrioso. Riconosco pubblicamente la sua onestà di cittadino integerrimo”.

 

Nino Strazzabosco

 

Il Comando Militare Provinciale di Vicenza aveva sede in Stradella del Cimitero, nella abitazione di Giovanni Strazzabosco (Nino). Nino, che era il Segretario, molto bravo del resto, del Comando stesso, aveva 38 anni, ma sembrava molto più giovane; leggermente claudicante, alto, e sempre con un sorriso che ispirava fiducia e simpatia.

 

Militava nella D.C. e con il suo sguardo buono faceva capire a Giordano la sua disapprovazione quando, di tanto in tanto, gli capitava di esprimersi in maniera non molto ortodossa. Venne arrestato con la sorella il 2 Dicembre 1944 dall’Ufficio Politico Investigativo (U.P.I.) della G.N.R. comandato dal tenente Di Fusco, che trovò nella sua abitazione tutti i documenti del Comando Militare Provinciale. Fra questi documenti erano comprese le copie firmate delle disposizioni inviate alle squadre dei Guastatori e che concernevano le azioni di sabotaggio.

 

Il tenente Di Fusco voleva sapere, a tutti i costi chi era Lo. Lo. E cioè il firmatario di alcune di dette disposizioni e più precisamente quella concernente i sabotaggi del 23 Luglio 1944. Bisogna infatti sapere che al Comando Militare Provinciale si usava firmare a turno.

 

Nino venne picchiato in modo così brutale che, una quindicina di giorni dopo, quando Giordano venne portato per un confronto con lui nella villetta a Porta Padova, dove era installato l’U.P.I., quasi non lo riconobbe.

 

Il Licini

 

Un certo Giuliano Licini, ex prigioniero del Di Fusco ed ora suo collaboratore, lo aveva informato che Giordano Campagnolo faceva parte del Comando Militare Provinciale. Ecco il perché del confronto con Nino che però intendendo bene la difesa di Giordano, con cui dichiarava di aver portato solo una lettera al Comando, la suffragò con molta energia e convinzione; lo salvò così da un trattamento che avevano cominciato, battendolo sulla schiena, con una giberna riempita, a mo’ di clava, cosa che gli fece sputare del sangue.

 

Il Licini, presente al confronto, insisteva nella sua dichiarazione però, il povero di spirito volle evidentemente strafare quando aggiunse che Giordano aveva presenziato ad una riunione del gruppo di Porta Padova. Giordano colse così la palla al balzo e fece ammettere al Licini, un po’ vergognoso e di malavoglia che in effetti non era andato alla succitata riunione riuscendo in tal modo a conivincere il Di Fusco che non poteva essere così il Lo.Lo. tanto ricercato.

 

Cade così la grave imputazione allontanando così per la seconda volta da Giordano il plotone di esecuzione. La prima volta per la generosità d’animo ed il coraggio di un Uomo. La seconda per la stupidità di un traditore.

 

Ora il racconto non è più a tre voci, in quanto Gino e Giordano sono imprigionati, e la loro vicenda è ampiamente narrata nei libri di Egidio Meneghetti, di Sergio Boscardin e nel “Ritorno a Palazzo Giusti” di Taina Dogo Baricolo.

 

Si può continuare perché Emilio è riuscito a sfuggire alle ricerche e benchè sia stato invitato ad eclissarsi in casa di amici sicuri a Milano, egli ha preferito continuare la lotta intrapresa. Gino e Giordano erano certi di ciò, in quanto anch’essi avevano rifiutato analoghe offerte pervenute, più volte, dalla cara e generosa amica, la indimenticabile signora Mila Angelini de Libera, di cui anche per questo conserveremo un affettuoso ricordo.

 

Ponte di Bassano Gennaio 1945

 

Gli aerei Alleati con un riuscito attacco distruggevano il ponte nuovo di Bassano del Grappa; il bombardamento produceva però gravi danni ad una larga zona della città compreso il tempio Ossario. Il Ponte Vecchio, quello degli Alpini, uscì indenne e secondo il parere di Lievore poteva assumere una grande importanza e quindi essere un probabile nuovo obiettivo degli aerei alleati.

 

Il Ponte è collocato nel cuore della città e un nuovo intervento dell’aviazione farebbe un disastro nel centro storico cittadino. Lievore preoccupato di ciò, interpella Vittorio Dorio che ha mantenuto i contatti con i Guastatori di Nove a cui viene ordinata la distruzione del Ponte, o perlomeno di renderlo intransitabile.

 

Con ciò si rende superflua ogni azione aerea alleata. L’azione viene compiuta con esito positivo il 16 Febbraio 1945 ed il ponte è intransitabile. Gli Alleati non bombarderanno più Bassano. I tedeschi per rappresaglia fucilano quattro partigiani sui tronconi del ponte stesso ma saranno costretti a fare due passerelle a monte e a valle di Bassano per effettuare i loro trasporti minori.

 

Incarichi

 

Con l’arresto del Regionale Veneto il 6 Gennaio 1945 vengono a mancare i collegamenti, ripresi a metà Gennaio. La prima operazione portata a termine fu il finanziamento della Garemi con la partecipazione diretta di Lievore che riesce a far avere al Comando Garemi 4 assegni di 500.000 lire dal Regionale Veneto ricostituito.

 

I componenti superstiti del C.L.N.P. di Vicenza sono Lievore per il PCI, Licisco Magagnato per il Partito d’Azione e il dottor Giuseppe Cadore (Silla) per la D.C., che cercano di dare continuità alla resistenza. Per uniformarsi alle esigenze di carattere regionale nella ripartizione degli incarichi, su disposizione di una circolare del C.L.N.A.I., il C.L.N.Regionale Veneto comunica che bisogna modificare l’elenco di detti incarichi.

 

L’elenco che il 30 Agosto 1944 era stato inviato, era caduto nelle mani della S.S. del maggiore Carità che aveva arrestato i componenti del comitato regionale. Si devono perciò designare nuovamente quattro uomini che saranno chiamati a ricoprire l’incarico di Prefetto, Questore, Sindaco del capoluogo e Presidente della Provincia.

 

Si accende un’aspra discussione fra i membri del C.L.N.. Lievore rifiuta l’incarico di Questore per un elemento del PCI, ritenendo di non avere l’uomo adatto e dovrà essere il Regionale Veneto a stabilire gli incarichi che saranno così distribuiti: avv. Libero Giuriolo – partito d’Azione – Prefetto; Luigi Faccio, socialista – sindaco – anche perché fu l’ultimo sindaco del periodo prefascista. L’avvocato Giuliano Ziggiotti – democratico cristiano – Presidente della Deputazione Provinciale. Il dott. Luigi Follieri, ex commissario di Pubblica Sicurezza, legato alla D.C., Questore. Al PCI vanno quattro vicepresidenze e cioè: Vice Prefetto a Cibele dott. Jacopo – Vice Questore Bruno Stocco – Vice Sindaco Prof. Carlo Segato – Vice Presidente Deputazione Provinciale – ing. Nilo Griso.

 

Al Comando Divisione Vicenza, viene chiamato Nino Bressan, D.C. e Commissario Politico Ermes Farina D.C. Vista la distribuzione delle responsabilità, appare evidente la scarsa partecipazione del PCI ridotto a posizioni secondarie; probabilmente per la scarsità di elementi capaci poiché Lievore fu costretto a mantenere la Segreteria del Partito, rappresentanze nel C.L.N. nonché il Segretariato dei nuovi sindacati.

 

Liberata Bologna, la radio comunica che il Presidente del C.L.N. Emilia Romagna, Dozza, viene nominato sindaco di quella città e pertanto si dimette dalla carica fino a quel momento occupata. In tal modo si viene così a sapere che i C.L.N. hanno un presidente, un aspetto questo che, sia a Vicenza, che nel Regionale Veneto non era mai stato preso in considerazione.

 

Su proposta di Licisco Magagnato, ed in considerazione che il PCI vicentino non aveva avuto alcun titolare nelle quattro nomine più importanti, designate in precedenza dal Regionale Veneto, ma aveva avuto soltanto delle vice-presidenze, si decide di affidare a Lievore la presidenza del C.L.N.P..

 

Il 26 Aprile Lievore e Dorio vengono avvertiti che in città, e più precisamente nelle scuole di via s.Marcello, è indetta una riunione per il pomeriggio stesso, da un C.L.N. nominato da una missione alleata. Non si possono avvertire tempestivamente per varie ragioni gli altri membri del C.L.N., Magagnato e Cadore, e perciò Dorio e Lievore si recano colà, sempre per conto del C.L.N. e vi trovano una quaratina di persone che, inconscientemente si comportano come se la liberazione fosse già avvenuta, non tenendo in alcun conto che la città è ancora presidiata dai tedeschi. Lievore richiama l’attenzione dei presenti, si qualifica, facendo inoltre presente il pericolo rappresentato dai tedeschi, e fa allontanare dalla sala, alla spicciolata, gran parte dei presenti.

 

Rimangono soltanto due rappresentanti per partito ad attendere la Missione Alleata. Questa entra accompagnata da Ferrin che ne aveva ospitato un componente. La Missione approva l’operato di Emilio che deve però avvalersi come secondo rappresentante di Ferrin Giovanni incaricato dalla Missione stessa di indire la riunione.

 

Emilio perciò, a malincuore, deve fare a meno di Dorio. La Missione fa presente che gli Alleati gradirebbero un laureato alla presidenza del C.L.N.P., al che Emilio ribatte che la resistenza era opera di gran parte degli operai e che pertanto era giusto che fossero rappresentati. Vengono presi gli accordi per i primi contatti col Comando Alleato quando questi si fosse installato a Vicenza.

 

Il giorno dopo anche Cadore e Magagnato vengono informati degli accordi presi, che vengono in tal modo sanzionati e attuati dal C.L.N. della cospirazione.

 

La liberazione

 

Il 27 Aprile 1945 il C.L.N.P. si installa provvisoriamente nella sala superiore del Caffè Nazionale (oggi Magazzini Standa) che è stata messa a disposizione dal proprietario, degnissima figura di antifascista.

 

Il C.L.N.P. decide l’affissione di un manifesto per tutta la città e la provincia; su richiesta di Magagnato tale manifesto viene stampato gratuitamente da Zola e Fuga, e verrà ripubblicato integralmente su “Vicenza Libera” del 29 Aprile 1945.

 

Il C.L.N.P. siede si può dire in permanenza, ed il 28 mattina Lievore viene informato che il Colonnello dei Carabinieri che comandava la Piazza di Vicenza prima di darsi alla macchia (il C.L.N.P. aveva cercato dei contatti con questo personaggio per potergli affidare degli incarichi) si era presentato in divisa alla sede del Comando Alleato e ora stava per presentarsi al C.L.N.P..

 

Infatti il Colonnello entra di lì a poco e saluta militarmente i componenti del C.L.N.P. Nella generale confusione e il gran vociare tipiche del momento Lievore si alza e fa presente al Colonnello che i componenti del C.L.N.P. sono molto scontenti del suo comportamento. Nel silenzio generale subentrato a questa dichiarazione di Lievore, il Colonnello richiede: “Perché Signor Presidente?”

 

Lievore chiarisce che, pur essendo i rappresentanti di un esercito di straccioni, il C.L.N. è, comunque, un organismo italiano e che pertanto egli avrebbe avuto il dovere di presentarsi prima al C.L.N. e poi, se del caso ed in periodo successivo, al Comando Alleato.

 

Il Colonnello che per tutto il tempo era sempre rimasto sull’attenti, dopo un breve attimo di riflessione ammette onestamente il suo errore e si scusa verso il C.L.N.P.

 

Il 30 Aprile 1945 arrivano le prime notizie di quanto sta succedendo a Pedescala ed immediatamente Lievore corre dal Comando Alleato installato nella casa Cabalisti in Motton S.Lorenzo, e prega e scongiura il comandante di portare aiuto con carri armati ed autoblindo a quella infelice popolazione, ma invano.

 

Il comandante, un uomo che dimostrava di essere stanco ed invecchiato anzitempo, riflette molto sulla richiesta ed infine si rifiuta adducendo vari motivi fra cui uno che ha le truppe molto stanche, poiché lui ha l’ordine di continuare verso Treviso ed infine dichiarava che i partigiani fino a quel momento avevano combattuto molto bene, dato che nel tratto Verona-Vicenza la sua divisione, la 88ma Blue Devil aveva avuto soltanto tre feriti. Riteneva pertanto che i partigiani avrebbero ben potuto continuare da soli.

 

Questo era un implicito riconoscimento al valore e alla combattività delle forze partigiane, ma purtroppo non potevas portare alcun aiuto alla popolazione di Pedescala.

 

Gino Cerchio ritorna dal Palazzo Giusti di Padova il 6 Maggio 1945. Giordano Campagnolo ritorna da Bolzano dove era stato internato in quel campo di concentramento il 16 Maggio dopo aver partecipato alla liberazione e al presidio della zona di Bolzano.

 

Lievore viene a conoscenza, tramite Aldo Calvo, che le macchine cinematografiche dislocate nelle sale parrocchiali della provincia sono di proprietà del Dopolavoro Provinciale. A liberazione avvenuta l’ENAL può così rientrare in possesso delle 26 macchine evitando perdite inutili.

 

Fine del documento “Vicenza clandestina”