LE CITTA’ IN OSTAGGIO
Profilo della vita quotidiana di due dei più grossi centri urbani della provincia: Vicenza e Schio. Il comportamento delle classi dirigenti, le angherie dei tedeschi, il funzionamento delle istituzioni locali
di Giorgio Marenghi
Nei giorni 10 e 11 di settembre del 1943 in provincia di Vicenza le truppe di occupazione tedesche, eliminate sporadiche resistenze italiane, prendono possesso delle strutture militari del disciolto esercito regio, in primo luogo le caserme, poi è a volta di alcuni edifici pubblici, quali le case dell’ex Fascio, dei collegi, ecc. La confusione è grande, anzi grandissima: lo testimoniano alcuni appunti su fogli non intestati, ma sicuramente di pugno del Segretario Comunale di Schio Pietro Bolognesi o dello stesso Podestà prof. Alessandro Radi.
Di fronte ai diktat germanici i funzionari non sanno che pesci pigliare: gli ordini dei militari sono categorici. Le radio vanno requisite, le armi ritirate, autobus, corriere, camions, automobili private, depositi di benzina, linee telefoniche, distribuzione alimentare, ecc., tutto questo va posto sotto il controllo dell’esercito tedesco.
Che fare in una situazione così complessa e delicata? Abbandonare? Darsi malati? Qualcuno ci prova ma il rischio è grande. Così, di malavoglia, i responsabili comunali devono far fronte ai tanti guai. Innanzitutto è urgente telefonare al Prefetto di Vicenza, o perlomeno a qualche funzionario rimasto in Prefettura. E per questo ci vuole l'autorizzazione tedesca. Poi bisogna fare la medesima cosa anche con il Provveditore agli Studi, poiché rischiano di saltare le lezioni, sia per il pericolo di disordini, sia per l’eventuale occupazione di alcune scuole da parte di reparti tedeschi. E i medici? Chi li autorizza a circolare? Le ostetriche, i panificatori, i giornalai, gli addetti alle pulizie stradali, i facchini, gli autotrasportatori di merci deperibili, ecc. Radi annota diligentemente per farsi una memoria per la discussione con il Prefetto: “Per le radio, è possibile consegnare soltanto la valvola raddrizzatrice? O sottoporre le radio ad una piombatura a domicilio del proprietario?”
PICCOLE COSE MA DIVENTANO MACIGNI
Sono domande che sembrano futili, ma in quei giorni di grattacapi devono aver rovinato il sonno ai responsabili del Comune di Schio. Per di più queste radio sequestrate dove dovrebbero essere custodite? In Comune? Si chiede Radi. E poi ci sono le altre grane ancora più pesanti: le banche devono aspettare? Per i pagamenti cosa si fa? Serve il cemento per completare i lavori per i rifugi antiaerei, serve il permesso di circolazione per le autovetture comunali, per gli industriali, per gli operai che vanno al lavoro al mattino (in bicicletta), serve avere le idee chiare per quanto riguarda i Carabinieri di stanza a Schio, ecc.
Insomma il bando del colonnello Indenbirken produce un marasma tale nell’amministrazione che per poco non si rasenta il blocco delle attività. Il 13 settembre, per il Podestà, si scuote il Segretario Comunale Pietro Bolognesi che domanda al comandante il presidio tedesco di Schio l’autorizzazione per telefonare in Prefettura per “problemi attinenti alla alimentazione della popolazione civile”.
Nella stessa giornata si preoccupa pure, il Segretario, che una copia di tutti i giornali messi in vendita dal sig. Gualdo Romano venga consegnata al comando di presidio. Il giorno dopo, il 14, i tedeschi sul tavolo hanno la lista completa, fornita dal Podestà Radi, dei nomi dei Carabinieri di stanza a Schio, indirizzo d’abitazione compreso. Nella nota si specifica che: “Il predetto elenco comprende i Carabinieri regolarmente iscritti nell’anagrafe. Altri militi che prestavano servizio come mobilitati non figurano nei registri anagrafici del Comune, e si ignora così il loro nome come l’indirizzo”.
Il 15 lo stesso Radi prende coraggio e chiede che Bolognesi, l'Ing. Saccardo, direttore dell’Ufficio Tecnico Comunale, il Perito Capo dell’Ufficio Tecnico Giuseppe Dalle Molle e l’accalappiacani Luigi Bogotto, abituati a viaggiare armati (chi di pistola, come il Segretario Bolognesi, chi di fucile da caccia a due canne come il Saccardo e il Dalle Molle, chi di fucile e pistola come il Bogotto che ne necessitava “per uccidere cani randagi e idrofobi”) siano autorizzati.
Il 15 settembre i tedeschi invitano il Comune e gli industriali ad un “rendez vous”, per guardarsi in faccia e decidere il che fare. Ma prima hanno bisogno di dati, numeri, informazioni, precise e particolareggiate. Quindi tutte le aziende ricevono un questionario da riempire: si deve comunicare il numero degli operai, ovviamente il nome e cognome del proprietario, il ramo dell’industria, il tipo di produzione, le eventuali difficoltà produttive o di personale, l’eventuale sorveglianza della ditta o la sua mancanza, ecc. Una fotografia completa dell’attività produttiva sciedense che serve ai comandi militari per scegliere le aziende da “proteggere”, militarizzandole, sottraendole così al controllo della nascente Repubblica Sociale Italiana.
I GUAI SONO ANCHE ECONOMICI
Oltre ai comandi categorici, alle difficoltà di capirsi con dei militari così prevenuti come i tedeschi, alla fine di settembre esplodono anche i problemi economici: le casse dei Comuni sono in difficoltà, già ci sono tante urgenze, dati i tempi, e le spese che devono essere sostenute per l’alloggiamento dei militari germanici rischiano di essere la classica goccia che fa traboccare il vaso. I Podestà corrono al riparo immediatamente, fanno pressione sul Prefetto perchè il carico finanziario non pesi tutto sulle loro spalle, già assai gravate.
Il Podestà di Schio il 28 settembre 1943 invoca l’intervento del Prefetto, poiché il bilancio comunale è già “scosso”. Il 6 ottobre lo stesso funzionario fa presente, sempre al Prefetto, che il Comando Germanico di Schio ha convocato sabato 3 ottobre 1943 una riunione alla quale hanno partecipato tutti i Podestà e Segretari Comunali del Mandamento di Schio. Oggetto della discussione: la ripartizione delle spese per le truppe germaniche.
L’ufficiale tedesco presente ha invitato, scrive il Podestà, "...i presenti a fare un esame di coscienza e di decidersi, entro 48 ore, se intendono lealmente, diligentemente, di collaborare col Comando germanico in tutti i servizi pubblici e di adempiere i suoi ordini con puntualità e sincerità. Se non si sentissero di aderire a questa richiesta, entro lunedì prossimo 5 ottobre, facciano pervenire sul suo tavolo di lavoro le proprie dimissioni”.
Lo stile è quello tedesco, di sempre, e non lascia adito a dubbi. Mette i funzionari con le spalle al muro, costringendoli anche a tutta una serie di misure impopolari: “Sugli apparecchi radio ritirati alla popolazione di Schio, giustifica (il Comando Tedesco, n.d.c.) il provvedimento dalle informazioni avute circa l’atteggiamento antitedesco e antifascista della popolazione. Ad ogni modo vedrà di riesaminare la cosa e possibilmente di restituire il numero maggiore di apparecchi radio ai legittimi proprietari..”.
I tedeschi giocano abilmente la carta economica. Sostengono con perfidia che “non è giusto che tutte le spese di occupazione restino a carico del solo Comune di Schio..”. Tutti i Comuni del Mandamento devono contribuire. Il come è materia tutta italiana.
PAROLA D’ORDINE: REQUISIRE!
Il 15 ottobre 1943 il Comando del “Front Reparatur Betrieb G.L. fur Daimler-Benz Flugmotoren” occupa lo stabilimento Fornaci Vicentine in Via San Lazzaro a Vicenza. Sono 387 metri quadrati di “requisizione” che paralizzano in pratica l’attività produttiva della fornace. Per il contratto di affitto (i tedeschi sono fatti così: sui soldi non sgarrano, anche se tendono un pò al ribasso) ci si accorda su lire 1.000 mensili. Nei capannoni della fornace vengono accantonati 4 cannoni da 8,8, 3 cannoni da 2, 2 camion, 3 autovetture, mentre un locale è adibito a deposito pacchi e viveri. Il 9 settembre 1943, sempre a Vicenza, viene requisito il Cinema Teatro Roma. Il fitto viene fissato in lire 150.000 annue. Ma, anche se, come abbiamo accennato, i tedeschi sono precisi per la contabilità ciò non significa che siano altrettanto precisi sotto altri aspetti: ai primi di gennaio del 1945 risulteranno mancanti: 13 specchi a muro, 7 tavolini, 24 sedie, 8 tavolette per attaccapanni a 5 posti, 8 lampade con plafoniere, 2 tende di velluto tagliate a metà. Il tutto accade durante la gestione militare dello stabile ovviamente.
QUANTO COSTA UN MESE DI OCCUPAZIONE!
Alla Prefettura di Vicenza il 10 ottobre 1943 arriva una nota del Comune di Schio che è tutto un programma. Molto più eloquente di una lamentela, del resto risaputa, sullo stato delle finanze comunali, la distinta delle spese sostenute dal Comune di Schio in trenta giorni di occupazione a favore delle Forze Armate Germaniche è un grido di dolore tradotto in cifre.
Così scrive il Podestà affidandosi alla contabilità ordinaria: “Accompagno a codesta Prefettura un elenco delle spese già sostenute da questo Comune per il locale Comando Germanico e un elenco di quelle che dovranno essere ammesse alla liquidazione, posto che le relative fatture sono già state vistate dal Comando stesso o lo saranno in uno dei prossimi giorni. Tornerebbe utile a questo Ufficio conoscere se codesta R.Prefettura (si noti il lapsus monarchico del Podestà a proposito dell’aggettivo “Regia”, n.d.c.) ritenga che il pagamento di tali spese debba fare oggetto di apposite preventive deliberazioni o se non piuttosto si debba provvedere al loro pagamento giusta gli ordini del Comando Germanico e poscia riassumerle in un atto deliberativo per ottenerne la sanatoria”.
Ma andiamo ad esaminare le spese sostenute dalla città di Schio per un mese di occupazione: Inizia la lista l'Albergo Dolomiti (mandato 579) per vitto ed alloggio lire 2.196; segue il Magazzeno Monopoli per sigarette e trinciato per complessive lire 4.152. Ancora l’Albergo Dolomiti (mandato 612) per vitto ed alloggio mette in conto lire 6.230; un certo Drago, di professione macellaio, per “carnami” vuole lire 1.425. Stiffan, pure esso macellaio si accontenta di lire 425. Donà & Miolo, per generi alimentari vari chiedono lire 1.329, Bettio Assunta per frutta e verdura lire 2.045, Bettio Gino, sempre per frutta e verdura lire 128, la Croce Rossa Italiana di Schio per l’autoambulanza lire 400, la Tipografia Pasubio per stampati lire 1.405, mentre di nuovo il Magazzeno monopolio per sigarette ben lire 4.054. La ditta De Giovannini & C. per lavori di ristrutturazione alla Caserma Cella vorrebbe lire 3.068, sette ditte che hanno offerto interpreti e dattilografe pretendono lire 5.120, quattro ditte che hanno fornito alloggi per un mese vogliono lire 1.091. Altre due ditte per fornitura di legna da ardere lire 2.720. Il totale è di lire 35.788.
A questa cifra va aggiunto il totale di un’altra serie di conti, riportati come “non ancora pagati” nella relazione al Prefetto. Nel primo gruppo di questi conti in sospeso troviamo acquisti di vario genere. E’ interessante esaminare anch’essi perchè fanno toccare con mano i problemi della vita quotidiana, sia dei soldati germanici che dei cittadini di Schio in quei frangenti.
La ditta SMIT per fornitura di tavole di abete si aspetta lire 442, De Munari, per carta bleu per oscuramento, lire 135, Dal Dosso per fornitura di soda, lire 127, Giovanni Martini per fornitura di mazzi di fiori lire 45, la Tipografia Pasubio per stampati lire 575, Panizzon per paglia lire 688, Zannini per lampadario e lampada da tavolo lire 687, la Ditta Pietribiasi per salotto e mobile bar lire 12.240 (finito probabilmente in qualche ufficio per gli ufficiali della Wehrmacht), la Ditta Bettero per lavori alla Caserma Cella lire 20, il macellaio Drago per “carnami” lire 587 e la CO.PRO.MA. di Vicenza, sempre per “carnami”, lire 6.753. Per lavori diversi il personale del Comune costa lire 5.493, altre ditte portano alla fine il totale dei conti in sospeso a lire 33.775,55. E il problema è: chi lo pagherà questo conto?
VOGLIA DI CASA: E CHE CI PENSINO GLI ITALIANl!
I Comandi militari tedeschi di solito non scherzano ma per il problema degli alloggi pretendono e vogliono in 48 ore, qualche volta anche subito, seduta stante. Le requisizioni, pubbliche e private, non si contano anche se sono tutte “in regola”. Il Commissario Prefettizio di Schio, Giulio Vescovi (sostituisce nell’ottobre 1943 il Podestà Alessandro Radi), deve firmare ordini di requisizione a favore dei tedeschi.
Per avere un’idea delle condizioni poste dalla Platzkommandantur è sufficiente questa nota del Commissario Prefettizio in data 15 maggio 1944 diretta ai sig. Pietro Cazzola di Schio: “Per ordine della Platzkommandantur di Vicenza la Villa Cappuccina di Vostra proprietà viene requisita con effetto immediato, mentre lo sgombero dovrà avvenire secondo le seguenti disposizioni impartite dal Comando stesso: 1) Tutte le persone abitanti nell’appartamento e che non fanno parte della famiglia (moglie e figli) devono sgomberare entro le ore 12 del 18 maggio 1944. 2) I familiari stessi dovranno lasciare l’abitazione entro tre giorni dal momento che riceveranno l’ordine definitivo. 3) I mobili devono rimanere nei locali requisiti ad eccezione delle cose strettamente necessarie ai proprietari..”.
La confusione nei riguardi delle norme da applicare per gli alloggi non si stempera neanche con le riunioni congiunte fra amministratori: infatti il 22 dicembre 1943 il Prefetto Neos Dinale invita i Comuni e gli altri Enti a non pagare nulla per lavori forniti ai tedeschi poiché vi sono accordi intervenuti tra il governo italiano e quello tedesco, che devono essere completati e portati a conoscenza degli enti pubblici. Il 26 gennaio 1944 il Prefetto Neos Dinale deve intervenire nuovamente, questa volta con un lungo comunicato che riporta nei particolari le disposizioni a favore delle truppe occupanti.
ECCO CHI PAGA I CONTI IN SOSPESO!
Sono norme integrative del Ministero dell’interno che, assieme alle disposizioni già date, dovrebbero dipanare contrasti e dubbi. Per i tedeschi viene stabilito d’imperio quanto segue:
1) Alloggiamento e relativo arredamento sono regolati secondo le norme vigenti per le Forze Armate Germaniche.
2) In modo particolare incombe al Governo Italiano la fornitura di: a) Alloggio di persone unitamente a quelle istallazioni che sono ritenute necessarie da parte delle Autorità Germaniche; b) Stalle e ambienti coperti per animali, mezzi di comunicazione, armi, utensili ed altri mezzi bellici; c) Officine, altri vani, posteggi e magazzini; d) Arredamenti come mobili, biancheria, paglia, posaterie, utensili ritenuti necessari dalle Autorità Germaniche; e) La pulizia, illuminazione, riscaldamento e fornitura acqua.
3) Alloggio in caserme, baracche, ecc. La manutenzione ordinaria e straordinaria e le riparazioni agli immobili è compito dello Stato Italiano, rispettivamente dei Comuni Italiani. Le spese per illuminazione, l’acqua, la vuotatura dei pozzi neri, la canalizzazione delle caserme, ecc. fanno carico allo Stato Italiano e così anche il riscaldamento, le spese di manutenzione delle condutture elettriche, l’impianto e il rafforzamento di siffatte condutture.
4) Alloggi privati. In linea di massima gli alloggiati devono accontentarsi degli arredamenti esistenti. Eventuali completamenti costituiscono un’eccezione. Appartamenti possono essere richiesti soltanto in caso di deficienza di costruzione e di pulizia. Per siffatti provvedimenti occorre il consenso del competente Comando di Presidio Germanico. I fornitori di alloggi hanno obbligo di mantenerli in perfetto ordine e puliti e di curare la fornitura e la lavatura della biancheria. Obblighi che non possono essere imposti al locatore senza una certa spesa (pareti divisorie, nuove porte, finestre e simili) non possono mettersi a suo carico. Militari di truppa devono avere un letto pulito, un tavolo, una sedia, biancheria e bicchiere. Militari di grado più elevato possono pretendere, secondo le condizioni locali, un migliore alloggiamento. Cucine e annessi (spazzacucine, lavanderia, dispensa, frigoriferi) con istallazioni complete sono pure oggetto della prestazione di alloggio e così pure posate, stoviglie e tovaglie con tovaglioli. L’illuminazione in appartamenti privati è da pagarsi dal fornitore dell’alloggio. Gli alloggiati devono usare l’energia elettrica con la massima economia. In casi eccezionali, special-mente trattandosi di uffici, può farsi luogo in caso di giustificato maggior consumo ad un rimborso supplementare a favore del fornitore dell’alloggio. Il rimborso viene effettuato dal competente Comune Italiano. L’illuminazione di edifici occupati in toto dalle Forze Armate Germaniche deve essere pagata direttamente dal Comune alla Società fornitrice dell’energia. L’uso dell’energia a scopo di riscaldamento e di cucina (in quest’ultimo caso solo per cucina da truppa) deve essere autorizzato dal competente Comando di Presidio Germanico. L’energia per riscaldamento e per le cucine della truppa deve essere pagata dal Comune. Le cucine possono fare uso dell’energia elettrica solo nel caso di impossibilità di ricorrere ad altri mezzi di cottura o nel caso che siffatti altri mezzi si palesassero antieconomici. Il consumo di energia elettrica per riscaldamento e stireria in case private deve essere rimborsato al fornitore da parte dell’alloggiato. Le norme predette relative all’energia elettrica si applicano all’uso del gas. Il consumo di energia elettrica per macchinari, riflettori, illuminazione di aeroporti, ecc. deve essere pagato direttamente dalla unità o dall’ufficio che ne fa uso.
5) Nell’obbligo della fornitura di alloggi sono comprese anche le spese per la costruzione e l’ampliamento di fabbricati per l’alloggiamento, in quanto se ne dimostri la necessità assoluta. Trattandosi di spesa superiore alle 20.000 lire occorre il preventivo assenso dell’intendenza del Comando Supremo Germanico in Italia.
6) Sono altresì comprese nell’obbligo di cui al precedente punto 5, le spese per la costruzione, l’ampliamento o la trasformazione delle opere di difesa antiaerea passiva (trincee, rifugi, ecc.) ma non di quella attiva (p.e. piattaforma per i cannoni).
7) Vi è altresì compreso l’approntamento dei locali per cinematografo teatro, come pure l’illuminazione, il riscaldamento, la pulizia, la manutenzione dei locali, l’uso delle sedie e la loro manutenzione e le spese personali relative. Si escludono però le spese per l’energia elettrica per l’approntamento degli apparecchi (proiettori delle pellicole, riflettori, altoparlanti) e le spese personali riferibili (operatori, maschere) che saranno pagati dalle Forze Armate Germaniche”.
MA QUANTO SI PAGA PER UNA CAMERA?
A Vicenza per una stanza ad 1 letto in Stradella Piancoli un sottufficiale che se lo può permettere paga un fitto mensile di lire 175, però senza biancheria e senza coperte: quelle se le deve procurare da sè. Una stanza a due letti, sempre in Stradella Piancoli, senza le coperte, costa invece lire 330. In Via G.B. Vico una stanza a 2 letti con “una sola muta di lenzuola” arriva a lire 375, mentre una stanza a 2 letti in Via Luigi Cavalli, probabilmente più “civile” delle altre, sfiora le 500 lire! In Via Mure S. Rocco in una villetta una stanza ad 1 letto costa lire 300 ad un ufficiale, in Via Bonollo la stessa sistemazione costa invece lire 240 poiché non ci sono le lenzuola. In Corso Padova sempre una stanza ad 1 letto ad un sottufficiale viene affittata a lire 290 se si accontenta di “tutto meno asciugamani”. In Via S. Lucia “senza materasso, coperte e lenzuola" in una stanza ad 1 letto si può risparmiare con lire 200, in Via Apolloni una stanza a due letti “senza biancheria ma la padrona cercherà di provvedere” costa lire 435, segno che ci siamo spostati in una zona “bene”.
A Schio l’Ufficio Tecnico Municipale il 21 marzo 1944 fornisce le tariffe per gli alloggi: per gli appartamenti popolarissimi a muri vuoti due stanze costano al mese lire 40, 3 stanze lire 70, 4 stanze lire 100. I “popolari”, una categoria già più sù, sempre a muri vuoti sono così quotati: 2 stanze lire 70, 3 stanze lire 100, 4 stanze lire 130. I “civili” a muri vuoti invece pretendono: 3 stanze lire 200, 4 stanze lire 300, 5 stanze lire 500. Per le stanze ammobiliate, che sono poi quelle più prese di mira dai soldati e dagli ufficiali tedeschi e italiani, una “popolarissima” viene lire 150, una “popolare” 210, infine una “civile” abbisogna di lire 350. Non sono solo i prezzi a provocare un giro vorticoso nella domanda e nell’offerta di alloggi, talvolta sono anche problemi più concreti di sopravvivenza fisica. I bombardamenti infatti causano in provincia una notevole circolazione delle persone e dei mezzi.
Dopo le prime avvisaglie del dicembre 1943, è con il 1944, soprattutto a partire dalla primavera, che masse di cittadini cercano scampo nei centri minori. Schio, Thiene, e altri comuni limitrofi si riempiono di persone che provengono dal capoluogo o dai comuni dell’hinterland martoriati a causa della vicinanza alle grandi vie di comunicazione.
Ma anche altre masse di profughi premono e aggravano il problema degli alloggi. Sono italiani dell’lstria, della Dalmazia, del Friuli, che fuggono da quelle zone in cui è in corso una sanguinosa guerriglia fra le forze titine e quelle nazifasciste. Questo succede fino all’estate del 1944. Poi il processo si inverte repentinamente. Una certa relativa rarefazione dei bombardamenti sui grossi centri fa sperare al meglio. Così si avvia un movimento all’incontrario. Gli sfollati, anche se non tutti, rientrano:
“Risulta a questa Prefettura - scrive il generale Edgardo Preti Capo della Provincia (Prefetto) in data 25 settembre 1944 - che da qualche tempo si è determinato un movimento di rientro in Vicenza di sfollati della città. Risulta altresì che molti Enti ed Uffici già sfollati in Provincia di Vicenza si sono trasferiti in altra provincia. In entrambi i casi è lecito supporre che dette persone ed enti abbiano lasciati liberi i locali già occupati e pertanto, poichè questa Prefettura si potrà trovare nella necessità di doverne disporre si prega di volerli segnalare a questo Ufficio del quale dovranno essere tenuti a disposizione..”.
I VIGILI URBANI A CACCIA DI ALLOGGI
A Schio e a Vicenza sono i vigili urbani che ricercano gli appartamenti sfitti, vuoti di cui i proprietari per il momento non se ne fanno niente. Giulio Vescovi, Commissario Prefettizio di Schio, con piglio da militare ma anche con una certa imparzialità, ordina la requisizione di molte abitazioni civili. Il 10 ottobre 1944 Vescovi scrive al Prefetto che M.T. “da parecchio tempo ha lasciato Schio e, da informazioni attinte, sembra che sia passato in territorio occupato dal nemico. Egli ha lasciato qui un appartamento mobiliato, in uno stabile di proprietà della Banca Popolare di Vicenza, appartamento che questo Comune vorrebbe requisire ed assegnare a sfollati, poiché per entrare in possesso dei locali e del mobilio è necessario procedere mediante scasso della serratura, si chiede l’autorizzazione per eseguire tale operazione”.
Il 18 ottobre il Prefetto acconsente ed autorizza l’apertura forzata dell’appartamento alla presenza di un vigile urbano e di un agente della Guardia Nazionale Repubblicana che redigono un inventario del mobilio e delle suppellettili, materiali che saranno poi custoditi a parte in un locale regolarmente sigillato secondo disposizioni prefettizie.
La vita era dura per tutti, anche per gli enti pubblici o per i Podestà. Quello di Tretto nell’ottobre del 1944 è ridotto in quattro stanze di Via Pasini, a Schio, dove abita con la famiglia. Una stanza, con grandi sacrifici, è addirittura lasciata libera per “uso ufficio comunale di Tretto”. Il 23 ottobre, con effetto immediato, il Commissario Prefettizio di Schio requisisce la casa di abitazione di C.F. che “..non ne usufruisce per abitazione, ma solo per tenerci una camera da letto, nella quale mai essa viene a dormire, perchè convivente con i familiari...”.
In un altro caso la requisizione è atto dovuto poiché una famiglia ha contravvenuto alla norma di avvisare il Comune su qualsiasi modifica della situazione abitativa. Infatti un appartamento lasciato libero dal Federale di Macerata è stato dato “arbitrariamente” ad una famiglia di sfollati di Vicenza senza il permesso del Comune. In altre occasioni sono le famiglie dei legionari della G.N.R. a beneficiare delle attenzioni del Comune. Ma non è da dimenticare che il problema degli sfollati politici in quel frangente era una questione seria, non solo di sicurezza per le loro vite, ma anche per i problemi contingenti, abitativi soprattutto. Ed in effetti famiglie di ufficiali o sottufficiali del “battaglione Firenze” della Guardia Nazionale Repubblicana, unitamente a famiglie di sfollati fascisti dell’Emilia e della Romagna formano un piccolo esercito di sbandati che sopravvive alla giornata, un’isola “nera” in mezzo all’ostilità della popolazione antifascista di Schio.
I "BISOGNI" DEI TEDESCHI
Installatisi comodamente nelle strutture pubbliche e private, i tedeschi devono forzatamente assumere personale italiano, se vogliono sopravvivere. E la cosa non venga vista solo come un giro di parole, è una questione pratica: dove mangiano gli ufficiali? E la truppa? In caserma ci sono le cucine, ma si sa che i cuochi della Wehrmacht lasciano a desiderare. Quindi per rincuorare una massa di soldati già molto “provata” dai continui rastrellamenti e fucilazioni (e pure dai bombardamenti aerei alleati) necessita un cambio di linea gastronomico. Ma prima di arrivare a questo occorre capirsi e la lingua è un altro problema che rischia di guastare parecchie cose.
A Schio non si perde tempo, come a Vicenza del resto: il 29 settembre 1943 è già pronta la lista del personale italiano assunto presso il locale Comando di Presidio. Interpreti sono l’Ing. Corrado Pfister che può così guadagnare lire 65 nette al giorno, la signorina Bianco Margherita (interprete presso la segreteria del Comando a lire 40), la signorina Morellato Margherita (interprete presso la segreteria del Comando a lire 25), la signorina Ponzo Anita (segretaria- interprete del Comandante a lire 35), il signor Garbati Emilio (interprete e operaio addetto alla raccolta degli apparecchi radiofonici a lire 25), il signor Dal Ben Valentino (impiegato all'Ufficio requisizione- auto a lire 30) e infine la signorina Clamer Antonietta (dattilografa presso la segreteria del Comando a lire 15). In seguito vengono assunti altri tre impiegati: il sig. Bonin Bruno che guadagna lire 104 al giorno, il sig. Boni Vittorio e la sig.ra Caicchiollo con lire 20,80.
Primo effetto dell’impiego di personale italiano è la stesura di accordi particolareggiati per iI Comando di Piazza di Vicenza: il 1 dicembre del 1943 Enea Gazzotti, conduttore dell’Albergo “Roma” in Vicenza firma un accordo con il Comune di Vicenza impegnandosi a mettere a disposizione la struttura alberghiera ed il Cinema-Teatro per la Platzkommandantur. “Il sottoscritto..” - recita l’accordo che è bene riportare integralmente perchè può essere preso a simbolo della contrattazione tra italiani e tedeschi ed anche perchè si riferisce alla struttura che ospita il comando operativo della provincia di Vicenza -
“si impegna di osservare scrupolosamente tutte le condizioni ..che qui appresso si specificano:
1) L’Albergo Roma s’intende requisito dal Comune di Vicenza a datare dal 16 settembre 1943 per la sede del Comando Germanico di Vicenza, di tutti i suoi locali e dal minimo di 74 letti.
2) Il conduttore dell’Albergo Roma si impegna di mantenere il regolare servizio dell’Albergo come in tempi normali, col decoro che si conviene ad un locale della categoria alla quale l’AIbergo appartiene e del Comando che ospita.
3) Il sig. Gazzotti si impegna di mantenere in servizio tutto indistintamente il personale esistente al 16 settembre 1943 (eccettuate le sostituzioni che si potranno rendere necessarie per ragioni disciplinari ed altre) composto di 18 perso¬ne così specificate: 1 cuoco, 1 sottocuoco e due donne di fatica per la cucina; 3 camerieri, 4 facchini, 1 ragazzo alla porta,1 dispensiere, 1 lavandaia, 1 guardarobiera, 2 donne per la pulizia, 1 fuochista per gli altri servizi. Al personale suddetto dovrà essere corrisposta la paga mensile, il vitto, l’indennità di presenza e la media delle percentuali percepite dal gennaio al settembre 1943, oltre gli assegni familiari, per modo che nessuno abbia a percepire una retribuzione complessiva inferiore a quella precedente. Per tale motivo il Sig.Gazzotti, quale datore di lavoro ed il personale dipendente tutto dovranno continuare a prestare la loro opera in modo encomiabile onde non dare luogo a rilievi di sorta da parte del Comando Germanico;
4) Il Comune di Vicenza, con l’ausilio del Comando Germanico, si impegna di fare ottenere a carico del sig. Gazzotti l’assegnazione di q.li 1 giornaliero di carbone per il funzionamento della cucina, mentre esso Comune provvederà, secondo le istruzioni che saranno date dal Comando Germanico, alla fornitura del carbone necessario per il riscaldamento durante il periodo invernale. Lo stesso Comune assume a proprio carico metà della spesa dell’energia elettrica d’illuminazione, che sarà pagata al conduttore su presentazione della relativa bolletta di consumo...”.
Il fitto viene fissato in lire 45.000 mensili che il Comune di Vicenza verserà al sig. Gazzotti il 10 di ogni me¬se. Inoltre il conduttore percepirà, dice sempre il documento del Comune, un contributo di lire 9 per ogni presenza giornaliera e soldato che parteciperà al vitto fornito dall’Albergo Roma.
NON E’ SOLO UN PROBLEMA DI SOLDI
Appare chiaro molto presto alle autorità italiane che i tedeschi, se sono di manica larga nei rastrellamenti, dove non lesinano le cartucce, allo stesso modo non intendono risparmiare troppo sul personale impiegatizio al loro servizio. E concedono indennità di presenza giornaliera che superano nettamente quelle dei contratti di lavoro italiani. La cosa non va giù al Prefetto, tantomeno al Podestà che, in una nota del 2 gennaio 1944, pur in toni moderati, fa pressioni perchè la cosa venga ripresa sotto il controllo italiano:
“Questo Comune - scrive il Podestà - in seguito a precisa richiesta del Comando della Caserma Sasso, vistata da codesta Platzkommandantur, aveva deciso, nel dicembre scorso, di corrispondere alle persone addette alla pulizia di uffici e Comandi Germanici il salario di lire 5 per ogni ora di effettivo servizio, oltre a lire 20 giornaliere quale indennità di presenza.
Successivamente, con nota 18 dicembre codesto Comando pregava di retribuire gli addetti alla cucina dell’Albergo “Al Castello” alla stessa stregua delle lavoratrici italiane occupate presso la Wehrmacht per il servizio di pulizia, le quali, per un lavoro giornaliero di 10 ore, percepiscono lire 70 globali. Interpellata la superiore Prefettura Repubblicana, la quale deve ratificare ogni provvedimento in materia, la medesima risponde con sua 28 dicembre n.12344 osservando che il trattamento economico da usare al personale dell’AIbergo “Al Castello” deve essere quello stabilito dal vigenti contratti di lavoro. A mia volta faccio presente che il trattamento in atto per questo personale è stato precisamente concordato con i sindacati competenti.
La Prefettura osserva inoltre che le recenti decisioni del Comitato Interministeriale, apparse anche sulla pubblica stampa nei giorni scorsi, stabiliscono, fra l’altro, che a datare dal 1 dicembre scorso l’indennità di presenza di tutte le categorie lavoratrici è parificata a quella già vigente per l’industria e per l’agricoltura: e cioè in lire 18 giornaliere per gli uomini superiori ai 18 anni, e in lire 10 per le donne di qualsiasi età e per gli uomini inferiori ai 18 anni.
Da quanto precede ne consegue che alle donne addette alla pulizia presso Uffici e Comandi delle Forze Armate Tedesche l’indennità di presenza, attualmente corrisposta in lire 20, deve essere rettificata in lire 10 giornaliere e ciò proprio per non creare sperequazioni con le stesse categorie di lavoratori occupati presso le aziende private. Pertanto qualora codesto Comando non intenda fare obiezioni in merito questo Comune si riterrà senz’altro autorizzato a corrispondere dal 1° gennaio 1945 alle donne suddette l’indennità giornaliera di presenza nella misura di lire 10 ferma restando la paga di lire 5 per ogni ora di effettivo servizio”.
Il risultato di questo sforzo di muscoli italiano è buffissimo: alla data del 13 dicembre 1944 (tanto ci si è messo per poi fare una figuraccia!) il Podestà suggella l’accordo finale. Il salario da corrispondere alle donne addette alla pulizia dei vari Comandi ed Uffici Germanici (il cui pagamento è di competenza del Comune di Vicenza) viene fissato in lire 5 orarie con una indennità di presenza giornaliera di lire 20 (come avevano chiesto i tedeschi). Ma le autorità vicentine per non perdere del tutto la faccia postillano: “Qualora la prestazione giornaliera sia inferiore alle ore 5, l’indennità di presenza viene ridotta a sole lire 10”. Che è come dire: non siamo stati sconfitti ma abbiamo perso!
I CONTI IN TASCA AI TEDESCHI
Ma quanto spendono i tedeschi a Vicenza per il funzionamento delle loro strutture? Dall’1 al 31 dicembre 1943 il Comando Germanico di Vicenza deve liquidare le seguenti somme: lire 13.120 per la fornitura di 8 stufe in cotto e ghisa, con relativi tubi, 50 sedie, 42 lampade e sistemazione impianto elettrico per la Caserma Sasso.
Per la caserma di artiglieria, di Viale della Pace, 189 panche da sedere e 20 scranni, più 5 librerie, costano la bellezza di lire 44.150. Per i magazzini di Viale Verona si acquistano 14 serrature con relative chiavi, 14 lucchetti e ganci per lire 1250. La gendarmeria FP 15878 di Viale Dante 54 ha bisogno di 40 sedie e le paga lire 2650.
Il centralino telefonico di Porta Castello riceve fattura per lire 630, lire 600 per gli uffici del colonnello germanico dell’Albergo Roma, mentre per le tabelle indicatrici stradali si spendono lire 760. Altre scritte in lingua tedesca costano lire 45, 1 stufa in ghisa sempre per il Comando, lire 2200 e lire 365 per la Dienstelle n.L.53558 R.
Sempre il colonnello comandante all’Albergo Roma abbisogna di una lavagna che costa lire 770, a Villa Porto un’altra stufa viene fatturata a lire 930. Il totale parziale è di lire 67.470 liquidate. Che sommate alle spese del mese di novembre che ammontano a lire 85.875 portano ad un totale generale per il 1943 di lire 153.345.
Nei mesi di febbraio e marzo del 1944 le somme per i lavori di manutenzione e riadattamento e fornitura di mobili e attrezzature varie ammontano a lire 112.130. Sono cifre consistenti ma neanche astronomiche, che comunque creano un indotto “germanico” in città, visto che sono numerose le ditte vicentine che dal settembre 1943 lavorano per i tedeschi. Il brutto della faccenda è che molte di queste spese devono essere sostenute dal Comune, come per il consumo di energia elettrica: nel solo mese di novembre del 1944, ad esempio, il Comune deve rifondere alla Cassa di Risparmio ben lire 6.555 per 39 appartamenti occupati dai tedeschi, 73 consumatori che spendono come gli pare, poiché le prese sono intestate ad utenti italiani che in realtà sono i proprietari degli immobili.
Citiamo alcuni affittuari: gli aguzzini del BDS Italienische Landenab di Via F.Ili Albanese consumano lire 511,20 di elettricità (molto probabilmente nel conto c’è anche il consumo per far funzionare le macchinette elettriche per la tortura); la Feldgendarmerie della Caserma Sasso consuma per lire 1154. Un capitolo a parte sono le spese per le prese intestate direttamente al Comando Tedesco.
La lista rivela anche la dislocazione esatta di tutti i comandi della Wehrmacht e della Luftwaffe a Vicenza: il Comando Tedesco Aeroporto è in Via Mentana 14, le baracche Aeroporto Dal Molin sono in Via Laghetto; un altro Comando tedesco dell’aeroporto è sito in Via Mentana al n.20 mentre il Bauleitungder Luftwaffe è sulla Marosticana al 130. Il Comando tedesco HUV 334 è in Via Mazzini 10, la 2A FLAK Abt 723 Contraerea in Via Durando 70, la 2A Lai FLAK Abt 723 contraerea in Via Brotton 2, il Fliegertorst Kommandat a Laghetto, il Comando O.T. Bauleitung sempre a Laghetto 131, un altro Comando tedesco aeroporto sulla Marosticana al n.139, il Comando Tedesco Ufficio Amministrativo a Laghetto, l’Organizzazione Todt in Via Cricoli, un’altra ripartizione del Comando tedesco dell’aeroporto è in Via Grappa, lo stesso vale per l’Organizzazione Todt di Via Cricoli, il Comando tedesco della centrale telefonica invece è in Via Muti 26 (l’odierno Corso Palladio). I’O.T. Bauleitung a Ponte del Marchese 5, altri uffici del Comando tedesco aeroporto sono a Polegge, Laghetto, Via Mentana, a Polegge al 160, l’ufficio illuminazioni e segnali alla Chiesa di Monte Berico, la Diestelle Feldpost 30011 a Bertesina, altro Comando tedesco aeroporto a Saviabona, l’O.T. Bauleitung 354 FLAK in Via Tre Scalini, l’Organizzazione Todt RUNA in Via Durando, altro Comando tedesco a Piazza Castello, la Rukdo Verona Platzkommandantur nel Palazzo Bonin in Corso Ettore Muti, e infine gli uffici delle officine costruzioni aeronautiche in Via 18 novembre. Totale delle spese: lire 10.694, beninteso sempre per il solo mese di novembre 1944.
SOTTO CONTROLLO ANCHE IL FERRO
Nei primi mesi del 1943 il Comitato Provinciale di Protezione Antiaerea (di cui abbiamo già visto ed esaminato il funzionamento nel capitolo “Vicenza si oscura”) chiede per il Comune di Vicenza kg. 500 e per quello di Schio kg. 200 di chiodi, e altri bulloni e lame per complessivi quintali 11 di materiale ferroso. Si individua pure nelle acciaierie Beltrame di Vicenza il fornitore.
Non se ne fa nulla fino all’11 ottobre 1943 quando con lettera riservata il Consorzio Derivati Vergella da Lecco informa: “..d’ordine dell’Incaricato Generale per l’Italia del Ministro del Reich per l’armamento e la produzione bellica, è stato concesso a fronte dell’assegnazione in oggetto il quantitativo integrale di q.li 10 di punte che saranno presumibilmente fatte allestire dalla ns. mandante Ditta Beltrame di Vicenza, presso il cui stabilimento le Amministrazioni Comunali di Vicenza e di Schio dovranno curare il ritiro esclusivamente con mezzi propri o comunque da essi predisposti..”.
Altre richieste vengono fatte l’11 dicembre 1943, con urgenza, per il ricovero antiaereo di Schio presso l’abitato del Nuovo Quartiere: urgono 60 metri di tubo di ferro trafilato del peso complessivo di quintali 2. Ma il 15 il Ministero dell’interno della Repubblica Sociale Italiana fa sapere alla Prefettura che: “Per opportuna notizia si comunica che il Ministero della Produzione Bellica ha sospeso provvisoriamente qualsiasi assegnazione di materiali ferrosi alle Prefetture. Tale determinazione è in relazione ad un’ordinanza emessa dall’incaricato Generale per l’Italia del Ministro del Reich per l’Armamento e la Produzione Bellica. Le assegnazioni di ferro saranno riprese non appena il Ministero della Produzione Bellica, dislocato a Nord, sarà in grado di funzionare e avrà preso gli opportuni accordi con l’incaricato Generale precitato circa la distribuzione dell’anzidetto materiale...”.
Emerge con evidenza da questa lettera il ruolo di sudditanza totale dell’amministrazione statale della RSI nei confronti dei tedeschi. Così anche per il ferro necessario ai rifugi del vicentino occorre aspettare che i tedeschi diano il beneplacito. Il Prefetto di Vicenza si innervosisce, anche perchè per la domanda occorre compilare un questionario e indirizzarlo all’Unione Siderurgica (controllata dai tedeschi): il risultato è che nel gennaio 1944 del ferro non se ne avverte nemmeno l’odore. Al punto che a Schio tentano di arrangiarsi come possono. La ditta di costruzioni edili Umberto Gasparini fa presente al Commissario Prefettizio di avere usato per i lavori 60 metri di tubo di ferro zincato avuto in prestito dall’impresa Santacatterina Francesco, sempre di Schio. Ma la ditta che ha concesso il prestito i tubi li rivuole indietro così i lavori per il rifugio vengono sospesi “con grave pregiudizio per la popolazione”.
CI VUOLE CORAGGIO PER CHIEDERE ESPLOSIVO!
Il 29 dicembre 1943 il Commissario Prefettizio di Schio prega il Comando Germanico di voler rilasciare all’impresa Vitella Pietro di Schio il permesso di prelevare 100 kg. di dinamite, m. 1000 di miccia e 1000 capsule detonanti per il proseguimento dei lavori di costruzione della galleria-rifugio in roccia sotto il colle di Magrè. Ma al 17 febbraio 1944 i tedeschi non hanno ancora rilasciato alcun permesso.
Perciò si muove anche l’ispettore della Protezione Antiaerea di Vicenza, il colonnello Monza, che invita la ditta Galvan (interessata per la consegna dell’esplosivo) a riempire i questionari tedeschi e indirizzarli al comando di Verona per i permessi. Si arriva al 16 marzo e i lavori per il rifugio sono sempre sospesi al punto che infiltrazioni di acqua cominciano a lesionare la parte già costruita: infatti, oltre all’esplosivo, manca pure il cemento. Si arriva a giugno del 1944 e il Prefetto Preti chiarisce che l’indirizzo giusto per le richieste è il Comando Militare 1009, Gruppo Amministrativo Militare, Piazza Castello 21, Vicenza.
TUTTI AL LAVORO... OBBLIGATORIO!
Con il mese di settembre del 1944 scatta la mobilitazione per il lavoro obbligatorio: già vi erano stati i rastrellamenti di lavoratori italiani, ora però tutti i maschi in età valida sono costretti a prestare la loro opera per le fortificazioni della “Linea Veneta”, che corre sulla linea dell’Adige, si appoggia, con le sue linee arretrate, ai Monti Berici nel Basso Vicentino e si aggrappa ai Colli Euganei per poi finire sulla costa adriatica. Il reclutamento obbligatorio sconvolge naturalmente le attività produttive: tutto il mondo del lavoro ne è coinvolto.
Le organizzazioni sindacali fasciste quando ne hanno il coraggio protestano, ma con voce flebile. Il Prefetto stesso fa quello che può, ma anch’esso si deve piegare ai diktat della O.T. “Per il reclutamento di tale mano d’opera scrive il Generale Edgardo Preti, Capo della Provincia, il 28 settembre 1944 - sono stati presi accordi con le Organizzazioni Sindacali, perchè il reclutamento stesso, per quanto riguarda le ditte industriali e le aziende agricole, avvenga attraverso gli organi sindacali...”.
L’operazione deve essere centralizzata nell'Ufficio Unico di Collocamento che disporrà per l'avviamento al lavoro, a seconda delle indicazioni tedesche. “E’ evidente che all’obbligo della mobilitazione - continua il Prefetto - è tenuto a rispondere sia il padrone della bottega, sia i dipendenti e che è necessario che per ogni bottega artigiana dovrà essere messo a disposizione almeno una unità lavorativa efficiente..”.
E’ quasi il blocco delle attività produttive: ma il 29 settembre altra nota del Prefetto fa capire che la chiamata al lavoro è andata male e che adesso i tedeschi scalpitano. Molti non si sono presentati, le cose su questo versante vanno male e le sanzioni sono nell’aria. La mobilitazione, invero, comprende tutti i cittadini fra i 14 e i 60 anni d’età: ma, come si sa, fatta la regola si trova sempre una scappatoia. E anche la mobilitazione al lavoro obbligatorio non sfugge alla perizia del popolo italiano: inizia così un tiro alla fune burocratico, fatto di richieste, di missive supplicanti, di artifizi ingegnosi, di assenze ingiustificate.
La resistenza dei cittadini vicentini alla tirannide nazifascista passa anche per questa lotta condotta sul filo del rasoio. Certo, la maggioranza piega la schiena, ma una nutrita minoranza mette i bastoni tra le ruote. La stessa Confederazione Fascista dei Commercianti di Vicenza protegge un suo associato, tale Campolongo Carmine, titolare della raccolta delle uova nella zona di Bassano. Senza di lui e di suo figlio, e senza pure il suo automezzo, la raccolta cesserebbe.
Ed ecco pronta la richiesta perchè la chiamata al lavoro venga revocata: “Data l’importanza dell’incarico - scrive il Direttore Vito Piccinini - che il Campolongo è chiamato a disimpegnare, ai fini dell’alimentazione, si rende necessario che egli riprenda la sua attività, con tutta urgenza, onde non resti sospeso un lavoro, che ad altri non può essere affidato”.
La Ditta Fratelli Arsiè, officina meccanica in Bassano del Grappa, fa presente al Commissario Prefettizio che ha contribuito alla chiamata al lavoro “con tutti i suoi dipendenti maschi più il titolare direttore amministrativo”. La ditta si trova perciò in serie difficoltà e nell’impossibilità di pagare i dipendenti. E qui occorre aprire una parentesi: come funzionava il meccanismo del reclutamento obbligatorio al lavoro? Da un documento della Confederazione Fascista degli Industriali risulta chiaro che i tedeschi avevano stabilito che il 20 per cento dei dipendenti maschi di età compresa tra i 14 ed i 60 anni fosse destinato alla O.T. La selezione viene affidata alle organizzazioni sindacali e ai fiduciari d’impresa. Entro cinque giorni l’elenco dei prescelti deve essere comunicato al Comune ove ha sede lo stabilimento.
Le aziende, frattanto, devono fare opera di convincimento fra i lavoratori stessi per impedire casi di defezione. I tedeschi fanno sapere che i lavori si svolgono nel territorio della provincia e che nell’avvio dei lavoratori alla zona di impiego si terrà conto anche del loro luogo di residenza. La retribuzione sarà per le prime due settimane di lavoro a carico dell’imprenditore, successivamente il datore di lavoro integrerà la paga offerta dalle autorità germaniche.
Agli associati il dirigente della Confederazione, dr. Mario Cappelletti, fa altresì sapere con prosa illuminante: “Non ci nascondiamo che nei casi anzidetti l’applicazione delle disposizioni in parola esigerà degli accorgimenti e degli espedienti per consentire la normale prosecuzione del lavoro nelle aziende. Essi saranno rimessi al prudente accorgimento dei datori di lavoro i quali, ove sia necessario, predisporranno turni, faranno effettuare lavori in ore straordinarie e notturne in modo che la rimanente maestranza, nel periodo transitorio di crisi di mano d’opera, venga razionalmente impiegata..”. Resistenze a parte, in ogni caso, i tedeschi mobilitano alcune migliaia di operai costretti a scavare, costruire rifugi, trincee, casamatte, e altri manufatti di importanza militare.