QUADERNI DELLA RESISTENZA 
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Luglio 1979 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume VIII
(da pag. 405 a pag. 417)


V. «MANOVRA DI PALAZZO»
AL COMANDO DELLA BRIGATA D’ASSALTO «A. GAREMI»
10 agosto 1944
 
 
 

 

Uno degli argomenti più intricati, scottanti e discussi nella storia della Brigata garibaldina «GAREMI» è senza dubbio quello della riorganizzazione dei comandi avvenuta nella prima decade di agosto del 1944.


Le polemiche si trascinano anche al giorno d’oggi perché la tale riorganizzazione o manovra di palazzo si ebbe la sostituzione o defenestrazione di quello che era stato fino a quella data il Comandante della Brigata GAREMI: Attilio Andreetto («Sergio»). Su questo cambio della guardia sarà difficile andare veramente a fondo con una certa obiettività, in quanto molti testimoni-chiave sono oramai deceduti e opinioni dei viventi sembrano influenzate da atteggiamenti personali e pregiudiziali di approvazione o di disapprovazione. Sicché la congerie di polemiche nate dalla sostituzione di «Sergio», che ne dicembre del 1955 passò alle formazioni autonome» dell’ORTIGARA, impedisce a molti una visione distaccata dell’evento in sé e non consente l’inserimento del fatto nel più vasto insieme della storia della GAREMI.


Dalle ricerche finora svolte mi sono comunque consolidato nell’idea che sia proprio la prima decade di agosto del 1944 a chiudere un periodo storico della Resistenza nelle nostre valli (pre-GAREMI e Brigata GAREMI) e che in seguito (dopo il rastrellamento di Posina per la Val Leogra e dopo la Piana per la Valle dell’ Agno) si apra un altro periodo (Gruppo Brigate) apparentemente simile e continuativo, ma sostanzialmente «diverso».


Nel primo periodo, sotto il profilo dei Comandi, esisteva un equilibrio fra gli «EX MILITARI» a-politici (Marte, Sergio, Dante ed altri) ed i «POLITICI» dal solido passato comunista (Roméro, Alberto, Carlo ed altri); da questo equilibrio nacque il 17 maggio 1944 la piccola Brigata GAREMI nella zona di Malga Campetto sopra Recoaro.


A fine maggio gli ex militari acquistarono Giulio, mentre i politici in luglio persero Roméro, che si trasferì a Padova: la situazione rimase abbastanza stabile fino a tutto il mese di luglio del 1944. Sempre in tema di Comandi, il secondo periodo inizia in agosto con la «manovra di palazzo », che rappresenta una rottura dell’equilibrio «ex militari-politici» a favore dei «POLITICI», i quali ultimi dividono la Brigata in due («Stella» e «Pasubia¬na Prima») mettendo a capo di ognuna due ex-militari («Dante» e «Sergio»), ma assumendosi il Comando generale delle due Brigate («Alberto» e «Lisy»).


Gli eventi successivi portano alla sparizione di «Dante », fucilato a Padova, ed alla scomparsa anche di «Sergio», che passò alle formazioni «autonome» dell’Ortigara. Alla Liberazione si arriva con un Comando generale del Gruppo Divisioni «GAREMI» interamente costituito da persone con un robusto passato di militanza comunista oppure con precedenti familiari in tal senso oppure di sicuro affidamento politico (1).


Si pone quindi il dilemma: la nuova situazione post-agosto 1944 derivò da un insieme di circostanze occasionali oppure fu «Alberto» (Nello Boscagli) a favorire la prevalenza dei «politici» di sicura fede? E, siccome Alberto era in contatto soprattutto con Padova, fu il Triumvirato insurrezionale del P.C.I. a fornire direttive per un «nuovo corso»? Poi ben difficilmente vi potrà essere una risposta docu¬mentata al quesito, non resta che constatare i «fatti» ed avanzare tuttalpiù qualche ipotesi.



A. I COMANDI AL 15 GIUGNO 1944: RIUNIONE DI S. ANTONIO


Sulla situazione dei Comandi al 15 giugno 1944 si scriverà più ampiamente in seguito (Cfr. LA RIUNIONE DI S. ANTONIO).


In breve, il comandante della Brigata GAREMI era «Sergio» (Attilio Andreetto, veronese); il commissario era «Alberto» (Nello Boscagli, senese); Capo di S.M. era stato nominato provvisoriamente un certo « Max » (vicentino), il quale tenne la carica per breve periodo; restano da accertare eventuali altri incarichi alla data sopraddetta.


La Brigata GAREMI comprendeva due Battaglioni: a) lo «Stella» in valle dell’Agno con «Dante» (Luigi Pierobon di Cittadella) e «Pino» (Clemente Lampioni cl. 1904 di Legnago) ed altri b) l’«Apolloni» in Val Leogra era al comando di « Roméro » (Igino Piva di Schio), con «Giulio» (Valerio Caroti di Schio) come vicecomandante e con «Carlo» (Alberto Santori di S. Pietro Valdastico) come commissario. Lo studio dei Comandi in valle dell’Agno sarà pubblicato e puntualizzato in altra sede. Per quanto riguarda la Val Leogra, a partire dalle decisioni di S. Antonio del 15 giugno la situazione dei Comandi in teoria restò immutata durante tutto il mese di luglio, ma di fatto subì delle modifiche:

1. - «ROMERO», comandante dell’Apolloni, malfermo in salute a causa di disturbi gastro-enterici post-operatori, lasciò progressivamente il comando al suo vice « Giulio» ed abbandonò definitivamente la zona di Schio verso il 15 luglio 1944, trasferendosi nelle formazioni garibaldine della « SABATUCCI l) e poi, a fine gennaio 1945, in quelle della VAL D’ASSOLA (2).
2. - «CARLO», commissario, il 26 giugno era partito dalla Val Leogra e si era spostato in Valdastico (Cfr. pg. 375).
3. - «TURCO» (Germano Baron di Schio-Poleo) ai primi di luglio, d’accordo con «Giulio» emigrò in Val Posina e poi si stabilì sull’altopiano di Tonezza (cfr. in questo Quaderno).
4. - «MARTE» subiva ancora le conseguenze del suo ferimento nello scontro ai Carobolli del 17 maggio.
5. - «GIULIO» diventò stabilmente il comandante dell’«Apolloni» ed iniziò la migrazione di alcune pattuglie e distaccamenti in alta Val Posina, dando consistenza a quella che diventerà la «zona libera» di Posina.



B. COMANDI NELLA «ZONA LIBERA» DI POSINA


Sulla situazione dei Comandi formali e di fatto durante la zona libera di Posina e sui rapporti fra Giulio Turco e Sergio vi e la seguente lettera-testimonianza di Lamberto Ravagni («Libero») di Rovereto, inviata a Giulio il 31.10.1978. Va premesso che dopo l’attacco alla Caserma di Tonezza (15 luglio 1944), «Turco» aveva intitolato tre giorni dopo il suo Battaglione con il cognome dell’amico Luigi Marzarotto («Treno») di Poleo, caduto appunto a Tonezza.

 

Il testo di Lamberto Ravagni è il seguente:
«In merito alla nascita del battaglione Marzarotto, io ritengo che si debba rettificare quanto è stato scritto. Alcuni giorni dopo Tonezza, infatti, col tuo consenso il distaccamento di Turco divenne il battaglione Marzarotto, con un comando di battaglione con i suoi distaccamenti ecc. La sede del comando di battaglione era a Malga Melegna.

Se mal non ricordo, l’Apolloni era il primo battaglione della brigata Garemi, mentre il Marzarotto divenne il quarto battaglione. I battaglioni Apolloni e Marzarotto nel momento in cui si occupò la zona liberata da Poleo a Folgaria, con centro a Posina, diedero luogo ad un comando di zona che per i giorni in cui fu presente fu gestito da Sergio, che doveva poi diventare nel progetti e diventò nella realtà, comandante della brigata da neoformarsi, che fu poi la Pasubiana.

Sergio era allora il comandante della Garemi. Ripartito Sergio, la zona fu di fatto comandata da te che eri di fatto il vicecomandante, oltre che comandante dell’Apolloni e che essendo sul posto eri di fatto il comandante della zona libera, del cosiddetto comando di zona, oltre che comandante dell’Apolloni.

Turco che era stato tuo comandante di distaccamento, riconosceva la tua supremazia e pur essendo comandante di battaglione, dipendenza in pratica da te, che eri il comandante sul campo della zona libera. Ad ogni modo il battaglione Marzarotto, dal 18 o 10 luglio, è esistito, con oltre cento partigiani in montagna, con qualche distaccamento e qualche pattuglia fuori distaccamento, che tutte dipendevano dal comando di battaglione e cioè da Turco.

La circostanza che il 10 agosto, subito prima del rastrellamento, si sia dato luogo ai cosiddetti protocolli per la formazione della Pasubiana, non sposta nulla e non fa scomparire il battaglione Marzarotto. A mio parere questi protocolli seguono una situazione provvisoria, nella quale vi era questo comando di zona, gestito e comandato in teoria da Sergio, ma in realtà da te. Eventualmente è proprio questo protocollo che ha avuto vita brevissima, poiché dopo il rastrellamento tu hai formato la Martiri di Val Leogra, mentre dal Marzarotto è nata la Pasubiana. Come vedrai, questo avevo scritto anche nel 1950. Non ho chiarito nell’ultimo incontro la questione della cosiddetta trentesima brigata d’assalto Garibaldi che credo fosse proprio la nostra.

Ricorderai i manifestini dei tedeschi, dopo il rastrellamento del 12 agosto. Ti prego quindi di ristabilire questi fatti che del resto pongono in luce il ruolo da te svolto. Tu eri certamente il comandante della zona libera, sul campo e questa verità non può essere oscurata. Egualmente penso che non sia giusto far scomparire il battaglione Marzarotto, comandato da Turco, che peraltro poi dipendeva nella zona dal tuo comando, non so se di diritto, ma certamente di fatto. Tu stesso scrivevi al comando di battaglione Marzarotto».



A parte la «diagnosi» di Ravagni sulla situazione dei Comandi, il testo mette in evidenza chiaramente le difficoltà per uno storico di stabilire i ruoli effettivi dei Comandi partigiani nell’area garibaldina della GAREMI. Il «comando di fatto», inteso come contatto diretto e costante con gli uomini e come riconoscimento da parte della base partigiana di una autorità e prestigio personale, non sempre coincide con i rimpasti decisi ai vertici a tavolino ed ufficializzati sui documenti: di qui l’esistenza di una storia «reale» spesso sottovalutata e di una storia «ufficiale» spesso sopra valutata, per comodità di ricerca o per motivi ideologici.


Un’altra causa di difficoltà storica deriva dai continui «mutamenti di comando» conseguenti a decisioni dall’alto oppure a incidenti personali dei singoli comandanti: ferimento di Marte trasferimento di Romero, sostituzione di Sergio, fucilazione di Dante e di Pino, situazione «jolly» di Carlo. Un fenomeno inevitabile nelle zone di guerriglia calda.



C. LA «MANOVRA DI PALAZZO»
Prima decade di agosto del 1944



Il problema va affrontato, a mio parere, considerando che a fine luglio del 1944 il Comando Generale delle Forze Partigiane dell’ Alta Italia, allo scopo dI evitare interferenze e contrasti tra le formazioni partigiane di varia estrazione politico-militare, inviò alcune direttive per la DELIMITAZIONE DELLE ZONE. Ne sarebbe conferma il ben noto documento che reca la data del 3 agosto 1944:

BRIGATA VICENZA - PATRIOTI Zona d’operazioni 3 agosto 1944 ore 16.30. A tutti i Comandi di Btg. e a tutte le pattuglie delle Brigate «Vicenza» e «Caremi». Fra il Comandante della brigata «Vicenza» e il Comando della brigata «Caremi» sono in corso delle trattative per arrivare alla delimitazione di «zona» nelle direttive del «Comando Generale delle Forze Partigiane dell’Alta Italia». Si ordina pertanto che i Patrioti delle due unità si considerino fin d’ora fraternamente uniti nella lotta comune. Da questo momento incontrandosi  fra Partigiani delle due formazioni, in qualsiasi località, deve esistere la massima fraternità e nessuna maldicenza, nessuna insinuazione che possa ... l’unificazione del movimento deve essere fatta da Patrioti. Chi si rende colpevole d’infrazioni in questo senso, sarà passibile di giudizio da parte di un tribunale militare delle due Brigate; non sono tollerate diserzioni o passaggio arbitrario di uomini (che sarà considerato diserzione) da unità ad unità. Tutto quanto è avvenuto fino ad ora deve essere, per necessità superiori dell’unificazione del movimento, superato e taciuto. Nei prossimi giorni saranno emanate direttive, frutto del lavoro in corso. A morte i tedeschi e i loro servi fascisti. Evviva i Patrioti! (Timbri) BRIGATA VICENZA - PATRIOTI - IL COMANDANTE. (Firma autografa) Giuseppe Marozin. (Scritto a mano) Per il comando della Caremi (Firma autografa) Zini del Com. Reg. (Firma autografa) Alberto (3).


In un problema così importante come quello della delimitazione delle zone figurano, per la Brigata d’assalto GAREMI, due firme: «Zini» (4) e «Alberto» (Nello Boscagli). Poiché il documento è datato al 3 agosto 1944, quindi proprio nella decade in discussione, sembra logico ammettere che «Zini» e «Alberto» non si siano limitati a trattare e siglare con «Marozin» la delimitazione di zona fra le rispettive formazioni, ma che «Zini» e «Alberto» abbiano anche discusso, con l’occasione, i problemi interni della GAREMI.


Sempre navigando nelle ipotesi, «Alberto» dovrebbe aver messo al corrente «Zini» sulla situazione generale dell’intera area GAREMI e «Zini» a sua volta dovrebbe aver comunicato ad «Alberto» gli orientamenti di Padova (Triumvirato insurrezionale del P.C.I.) in tema di Comandanti e di Commissari politici; non è escluso che Padova avesse ricevuto, a monte, alcune direttive da Milano (5).


Se l’incontro è avvenuto a due, fra « Zini » e «Alberto», vi sono poche speranze di poter chiarire gli argomenti trattati fra i due e lo scambio di idee che ne è intervenuto. L’incontro comunque ci fu, è datato da un documento, rappresenta con molta probabilità il punto di partenza di tutta la «manovra di palazzo».


Accettando questa linea di interpretazione, i «fattacci» che seguirono, e che tante beghe suscitarono, vengono un po’ a sprovincializzarsi e si inquadrano invece in un disegno o orientamento più generale, dettato a monte, tendente a configurare la GAREMI in senso chiaramente garibaldino con «uomini», comandanti militari o commissari politici, che dessero sicuro affidamento di condurre i battaglioni o le divisioni del Gruppo GAREMI fino alla Liberazione senza flessioni autonomistiche o eventuali simpatie per le formazioni viciniori non garibaldine.


Non si può negare che una tale «politica di compattezza» fosse pienamente giustificata dal punto di vista di un Comando garibaldino e che quindi la «linea Alberto» avesse una sua validità storico-politica.


Il fatto poi che la sua applicazione pratica (estromissione di alcuni comandanti) abbia suscitato dei drammi personali e che nell’interno della stessa GAREMI vi siano state delle perplessità, mi sembra che ciò rientri nella logica della politica di ogni tempo; si potrà tuttalpiù discutere sui metodi usati per dare applicazione ad una tale politica di compattezza, ma la sostanza del problema non cambia e inoltre bisogna tener conto che il tempo di guerra e di guerriglia non consentivano certamente le schermaglie bizantine.


Ogni discorso sull’affare Sergio dovrebbe, a mio avviso, partire da un quesito: era Sergio indispensabile al punto da tollerare in area garibaldina ed ai vertici del Comando generale una certa sua insofferenza ai «politici»? È chiaro che «Alberto», forse consultatosi con «Zini», concluse in senso negativo, decise di sostituirlo nel Comando della GAREMI, cercò di sistemarlo in qualche modo creandogli addirittura la Pasubiana prima, dove Sergio avrebbe potuto, a mio avviso, con un po’ di pazienza e con un pizzico di abilità politica, trovare un suo spazio e prestigio. Quello che invece successe è abbastanza noto e sarà argomento di ricerca in un altro Quaderno.



D. OPINIONI E TESTIMONIANZE



Il mutamento più importante nel Comando della GAREMI, avvenuto esattamente il 10 agosto del 1944, è la sostituzione di «Sergio», fino allora comandante, con «Alberto» il quale fino a quel momento era commissario (6). Al posto di « Alberto» fu nominato commissario «Lis » (Luigi o Lino Marega, goriziano). In proposito mi sembra utile riportare alcune testimonianze-commento.


VALERIO CAROTI («Giulio») scrive (27.12.1977):

«La Val Leogra e la Pasubiana vanno trattate congiuntamente per un insieme di considerazioni e per l’evolversi delle formazioni: a) nella primavera del 1944 c’è il distaccamento “F.lli Bandiera” oltre ad altri piccoli gruppi, b) alla fine di maggio del 1944, quando nasce la Brigata GAREMI, nasce in Val Leogra anche il battaglione “Apolloni” che raggruppa: i F.lli Bandiera, i reduci della infelice esperienza dell’Altipiano di Asiago, i gruppi sparsi della Vallata del Leogra come per esempio la pattuglia di Brandellero, e sulla carta anche la squadra dello Scalabrin, di fatto autonoma e che secondo i capricci del capo ora gravita sullo Stella ora sull’Apolloni, c) la “zona libera” Posina-Laghi-Campiluzzi è creata dall’Apolloni. Ai primi di agosto rivoluzione di palazzo al comando della brigata e il suo posto viene preso da Nello Boscagli (Alberto) già commissario, e il posto di commissario viene assegnato a Luigi Marega (Lisy). Il battaglione Apolloni viene ufficialmente smembrato in tre battaglioni: Apolloni, Marzarotto, Ismene che formano la “prima” Pasubiana. Ma, prima che la disposizione venga attuata, sopraggiunge il rastrellamento di Posina (12-13-14 agosto). Entro la fine di agosto si realizza comunque la “prima” Pasubiana e al comando della medesima è designato il defenestrato Andreetto (Sergio). Caroti (Giulio) mantiene il comando dell’Apolloni, mutilato, che comunque comprende 450 uomini. Baran (Turco) assume il comando del Marzarotto (circa 100-150 uomini). Manea Ferruccio (Tar) assume il comando dell’Ismene (70-80 uomini). In conseguenza di questa rivoluzione di palazzo, Sergio venne estromesso dal comando generale della Garemi e la posizione di Giulio viene al momento indebolita per lo smembramento dell’Apolloni ».


È abbastanza chiaro, dallo scritto di «Giulio», che la sostituzione di Sergio al comando della GAREMI e la sua sistemazione come comandante della costituenda «PASUBIANA PRIMA» venivano a scombussolare di riflesso anche la posizione di «Giulio» e del suo Battaglione «Apolloni». In proposito è interessante la più recente testimonianza di «Giulio» (15.6.1979) sull’accoglienza che ebbe in Posina il nuovo Comando GAREMI:


«Nel tardo pomeriggio dell’11 agosto 1944, rientrando al Lissa da Cavallara, ultima tappa di un lungo ma rapido giro per le pattuglie più vicine in previsione di un imminente rastrellamento, trovai “Niso” (Angelo Pilati di Torrebelvicino) intendente del Comando, piuttosto rannuvolato e alcuni uomini pure imbronciati che mi aspettavano fuori dai casoni. Mi dissero che c’erano tre ad attendermi che si erano qualificati come “Comando della GAREMI”, mentre un quarto se ne era già andato via. Entrato assieme a Niso e agli altri, incontrai tre persone: una anziana e dai capelli molto brizzolati che si presentò come Commissario “Lisy”; uno giovane e dall’aspetto molto sveglio che si presentò Vice-commissario “Aramin” ed il terzo, meno giovane, lungo e smilzo, si presentò come l’Intendente “Max” .

Per me erano facce del tutto nuove, non li avevo mai visti, conoscevo di nome “Aramin” perché il “Tar”, che lo aveva incontrato sull’altopiano di Asiago, me ne aveva parlato. L’incontro non fu dei più felici. Lisy continuava a fissarmi in silenzio, Max stava zitto, mentre Aramin, con lo sguardo fisso alla porta, scambiava con una certa disinvoltura qualche parola con Niso. Infastidito da quella strana atmosfera e da quello sguardo scrutatore sbottai ridendo: “Non sono mica una bestia rara!”. Tutti risero. Allora Lisy prese a parlare: “Sicché tu saresti il Giulio... ma i tuoi uomini mi hanno accolto malissimo, nonostante ci fossimo presentati”.

Il comportamento dei partigiani era stato estremamente diffidente se non ostile; a mezzogiorno i nuovi venuti erano stati trattati a polenta e ricotta. Niso e gli altri, alle spalle dei miei interlocutori, mi strizzavano l’occhio. Giustificai i miei uomini dicendo che avevo dato ordini tassativi di diffidare di chiunque non conoscevano e anzi, chiunque non fosse conosciuto doveva essere fermato e custodito in attesa di accertamenti: quella era la norma per l’intera zona. Mi chiesero allora se ero stato avvertito della loro venuta. In verità non ero stato avvertito e aggiunsi che erano stati molto imprudenti a venire senza preavviso o almeno accompagnati da persone conosciute.

Mi dissero che con loro c’era anche “Alberto”, che avrebbe dovuto essere già conosciuto come Commissario della Brigata GAREMI. Alberto era andato via poco prima in un’auto condotta dal partigiano “Malga” travestito da ufficiale repubblichino. Fu a questo punto che “Lisy” mi  annunciò che la Brigata GAREMI era diventata “GRUPPO BRIGATE”, articolato per il momento sulla Brigata “Stella” (ex battaglione Stella) e sulla Brigata “Pasubiana” che nasceva al posto del battaglione Apolloni e di ogni altra formazione della zona; c’erano inoltre due battaglioni operativamente indipendenti: il “Pretto” sull’altopiano di Asiago e l’ “Avesani” sul monte Baldo.

Sarei un bugiardo se non dicessi che per un attimo pensai con l’orgogliosa baldanza dei vent’anni, di essere io il Comandante della costituenda Brigata Pasubiana perché la cosa oltretutto sembrava abbastanza logica. Invece le sorprese non erano finite.  Mi dissero che “Alberto”, già commissario della Brigata GAREMI, era diventato Comandante del GRUPPO BRIGATE GAREMI. Lisy Commissario, Aramin vicecommissario, Jura vicecomandante, Max intendente. “Sergio”, già comandante della GAREMI era diventato con il 10 agosto il comandante della Brigata Pasubiana.

Devo dire che rimasi sbalordito e chiesi se Sergio era stato avvertito di queste decisioni prese il giorno avanti, perché il medesimo, venuto da me un paio di giorni prima, non mi aveva fatto cenno di possibili mutamenti; si era lamentato invece del peggioramento dei rapporti tra lui e Alberto. I tre tacquero imbarazzati, ma “Aramin” mi disse che la cosa era stata decisa dal Comando Triveneto delle “Garibaldi”. Un po’ a muso duro osservai che forse era un bene che i Commissari fossero gente anziana, ma i Comandanti dovevano invece essere giovani in grado di condurre personalmente in azione i propri uomini.

La battuta raggelò l’ambiente. “Lisy”, visibilmente arrabbiato (me ne pentii subito) si gettò in una severa requisitoria, mentre “Aramin”, sveglio e possibilista, cercava di tagliare l’aria. Ma ciascuno rimase della sua idea. Per cambiare argomento, annunciai che probabilmente il giorno dopo o al più tardi entro 2 o 3 giorni ci sarebbe stato un grosso rastrellamento. Ci rimasero male e “Lisy” incominciò a contestarmi la “zona libera”, la pericolosità della medesima e a farmi un sacco di domande ansiose.

Ricordo che sbottai in una gran risata e dissi che c’era la zona libera di Posina per il semplice fatto che il nemico, che aveva preso alcune legnate, non aveva avuto il coraggio di penetrare in valle lasciandoci relativamente tranquilli; che la densità della presenza partigiana in relazione alla Zona era molto bassa; che in paese non c’era nessun partigiano; che le pattuglie erano distanziate una dall’altra qualche ora di marcia; in caso di necessità potevano sganciarsi nei boschi e nei dirupi di cui la zona era ricca. Non avevamo scavato né trincee né fortilizi perché nessuno si sarebbe mai sognato di resistere ad oltranza. Dissi infine che le pattuglie erano sempre all’erta, come sempre, per qualsiasi evenienza.

Fui molto eloquente e conclusi dicendo che era un’ottima cosa, in previsione del rastrellamento, fare una sostanziosa mangiata perché “sacco vuoto non sta in piedi”. Il buon Niso fece preparare una buona cena, mentre i miei ospiti andavano visibilmente rasserenandosi. La conversazione diventò amichevole. “Lisy” ci raccontò le sue traversie di vecchio militante comunista e veramente provai ammirazione per quella sua fede spinta fino al sacrificio.

Ricordo con esattezza che l’uomo non era più il duro di prima, aveva smesso la maschera del militante tutto d’un pezzo e dalle sue parole e dal suo sguardo trasparivano semplicità e umanità per cui di lui, a tanti anni di distanza, conservo ancora un simpatico ricordo. A notte Inoltrata, mentre stavamo ancora parlando, le vedette diedero l’allarme: stava sopraggiungendo il “Turco” con due o tre dei suoi uomini e veniva da me per discutere dell’imminente rastrellamento.


Gli chiesi se le pattuglie erano ben sparpagliate e lui me lo confermò; espresse l’opinione che i Tedeschi non sarebbero arrivati più in su dei Campiluzzi. Il “Turco” ed i suoi uomini si sedettero a mangiare e quando ritenni che fosse il momento adatto feci le presentazioni. Anche l’incontro fra il Comando GAREMI e il “Turco” non fu particolarmente felice nonostante i miei buoni uffici. Il “Turco” diffidava per principio di chiunque non avesse visto personalmente in azione, armi alla mano, ed era insofferente di pastoie e di gerarchie. Poi, dopo aver vuotato i casoni di ogni nostro materiale nascondendolo in luoghi sicuri, ci buttammo sulla paglia.

Ma di lì a poche ore scattò il grande rastrellamento di Posina sicché, io in testa a far strada ed il Turco in coda a chiudere la fila, ci trovammo a condurre e a spingere un drappello di una trentina di uomini su per i canaloni scoscesi del Majetto. In quelle ore tremende osservai, con pietà ma anche con una certa ammirazione, l’anziano “Lisy” che si trovava costretto a sopportare una fatica superiore alle sue forze.

Mi tenni costantemente vicini sia Lisy che Aramin, mentre il Turco, di solito taciturno, mandava avanti a spinte e a moccoli gagliardi di Max ed alcuno altri che non tenevano il passo ed erano spaventati. Mai come in quei terribili tre giorni di pericolo incombente il Turco ed io ci sentimmo l’un l’altro tanto fraternamente affiatati. Quei tre giorni riscattarono largamente i malintesi che a volte erano sorti fra noi due e penso non sempre per colpa nostra».



ALBERTO SARTORI (“Carlo”), nel contesto di una sua più ampia relazione del maggio 1979, scrive sull’ affare Sergio in un senso ben più critico, anche se devesi ovviamente distinguere fra l’opinione attuale e l’effettivo consenso o dissenso di allora. Egli scrive:

«Per poter meglio comprendere la complessità degli avvenimenti verificatisi in seguito, va detto qui per inciso che Sergio, dopo la costituzione del comando Gruppo Brigate (10 agosto 1944), si esprimeva molto criticamente; non facendone mistero fra gli uomini di base, sul fatto che Alberto (che lo affiancava fino allora quale commissario politico nel Comando della 1a Brigata d’Assalto Garibaldi “A. Garemi”) si fosse “autonominato” comandante del Gruppo Brigate a sua insaputa. Da ciò, il netto rifiuto di Sergio (relegato – a suo dire  – al comando subalterno della Brigata “La Pasubiana” dove si trovavano ben affermati sia Giulio che Turco) di riconoscere l’autorità di Alberto che egli considerava soltanto un suo pari-grado nel Comando delle formazioni “A. GAREMI”. Va anche precisato, a parere dello scrivente, che all’origine, fu commesso effettivamente un grave errore per la mancata consultazione di Sergio nella costituzione del Comando Gruppo Brigate. Gli errori di violazione delle leggi democratiche si pagano sempre tosto o tardi. E l’errore costò molto caro, all’epoca ed in seguito, con conseguenze che si riflettono, ancor oggi, sui rapporti fra  i responsabili degli ex-Comandi delle “GAREMI” e della “ORTIGARA”.


L’argomento della insofferenza di Sergio, qui accennato da Carlo, verrà discusso in un prossimo Quaderno non appena sarà completata l’Inchiesta apposita, la quale dovrà considerare non solo i pareri di allora e di oggi dei Comandanti e Commissari ma anche le impressioni e le opinioni della base partigiana.


 

DOMENICO BARON (rappresentante del P.C.I. in seno al C.L.N. di Schio) riferisce (24.1.1978) quanto segue:

«Quando Sergio venne sostituito da Alberto al Comando della GAREMI, qui a Schio non ne venimmo subito a conoscenza. Ricordo che, in piena estate, iI Comando di Padova mandò Pierluigi Cazzola come ufficiale di collegamento del Comando Militare Triveneto e con lui partecipai ad una riunione in casa dell’arch. Vincenzo Bonato, presente anche Remo Grendene. Il giorno successivo, faceva molto caldo, partii con Cazzola e, lasciate le biciclette a Ponte Capre, salimmo su al Mondonovo da Alberto, dopo aver superato vari posti di blocco partigiani. Cazzola ed Alberto parlarono a lungo di problemi militari, mentre io ero presente come avallo e come rappresentante per il P .C.I. del C.L.N. di Schio. Rammento che fui sorpreso per l’assenza di Sergio».



E. IL PUNTO DI VISTA DI «ALBERTO»



La vicenda della «manovra di palazzo», alla luce delle poche testimonianze e documenti reperibili, manca del parere del protagonista o, se si vuole, dell’imputato. Mi sia allora consentito di avanzare una interpretazione personale, sul possibile « punto di vista» di Alberto (Nello Boscagli).

A differenza di molti giovani ex-ufficiali presenti nell’area GAREMI, sostanzialmente a-politici o per lo meno appena usciti dall’imbottitura ideologica fascista o fattisi una cultura politica «accelerata» ed estemporanea dopo il 25 luglio 1943, “Alberto” era invece un militante comunista di vecchia data, ex garibaldino di Spagna, nel maquis francese, gappista nel Veneto.

 

Indipendentemente dai suoi meriti personali o eventuali errori, bisogna prendere atto che egli aveva una definitiva visione politica della guerriglia partigiana: lotta ai Tedeschi ed ai Fascisti, risveglio delle masse operaie e contadine, preparazione politico-ideologica dei partigiani in un senso possibilmente favorevole all’affermazione del P.C.I. dopo la Liberazione. D’altronde verso l’autunno del 1944 un po’ tutti cominciavano già ad avere l’occhio fisso al dopoguerra, in modo palese poi nell’inverno 1944-45 (7).


Anche ammettendo per ipotesi che personalmente “Alberto” non fosse un genio della politica partigiana, non possiamo dimenticare che alle spalle egli aveva una organizzazione di partito con una tradizione clandestina attiva fin dal tempo del Fascismo, in altri termini egli poteva contare su alcuni cervelli a monte, sia a Padova che a Milano. A chi invece potevano rivolgersi gli ex-militari, come Sergio e Dante e gli altri, per un consiglio o per idee? Non vi è dubbio che «Alberto» si trovava quindi in una posizione migliore.


Una considerazione: nella genesi della Resistenza in area GAREMI, ed in particolare nelle Vallate del Leogra (Schio) e dell’Agno (Valdagno-Recoaro), i comunisti si erano dimostrati i più pronti e attivi (ex garibaldini di Spagna, fuorusciti dal confino ed altri in loco) comunque i più organizzati ed efficienti; ciò nulla toglie a tutte le altre forze politiche o apolitiche che intervennero fin dall’inizio nella lotta, ma una certa prevalenza comunista sembra per le nostre zone fuori dubbio.

 

Da Domenico Marchioro a Vicenza, dai fratelli Lievore a Baron, a Luigi Sella («Rino») e Nello Pegoraro, a Gastone Sterchele ed altri a Schio, da Piero Tovo a Valdagno fino a tanti altri di Vicenza e di Bassano, il P.C.I. disponeva di una organizzazione e rete politica che ebbe un grosso peso nel sostenere le prime bande armate.


Il P.C.I. invece fu carente, a mio avviso, nei quadri militari, dal momento che Igino Piva era stato rastrellato al Pestaro il 17 ottobre 1943 ed il capitano Crestani venne ucciso a Conco verso la fine dello stesso anno. Vi fu quindi la necessità di utilizzare i giovani ex-militari sbandati e renitenti ai bandi di novembre e di maggio: questo forse giustifica il fatto che il 17 maggio 1944 a Malga Campetto sia stato nominato comandante delle neonata Brigata d’assalto garibaldina «A. GAREMI» un Attilio Andreetto («Sergio») che, in quella zona e in quel momento, probabilmente fu ritenuto l’uomo adatto. «Alberto» si riservò l’incarico di Commissario, in modo da restargli alle spalle in osservazione, al fine di garantire che la nuova «GAREMI» restasse chiaramente garibaldina.


Quando la Brigata ingrossò le sue file e si estese a macchia d’olio vi fu la necessità di dividerla in due Brigate (la «Stella» e la «Pasubiana Prima»), ciascuna con una sua area di azione. Al di sopra delle due Brigate si rendeva necessario un Comando generale.


Sembrava logico che il comandante («Sergio») ed il commissario («Alberto») della Brigata iniziale, costituitasi il 17 maggio, fossero anche il comandante ed il commissario del Comando generale del Gruppo Brigate: invece la cosa non è affatto logica, né allora né oggi.


«Sergio» era stato nominato il 17 maggio quando la GAREMI era una brigatina verso Malga Campetto, molto scombussolata dai rastrellamenti ed ancora in assestamento.


In agosto (sono trascorsi quasi tre mesi) vi è una consistenza numerica di due Brigate e la zona operativa va quasi dal Garda al Brenta. Era ancora adatto «Sergio» come comandante? Inoltre, visto che buona parte dell’organizzazione resistenziale dell’area GAREMI era in mano dei Comunisti, era opportuno consegnare il Comando generale ad un ex militare? Che fra l’altro poteva aver manifestato in quei mesi una certa insofferenza alla politica nelle formazioni partigiane?


Non è facile scovare elementi che inquadrino il comportamento di «Sergio» nei mesi subito precedenti alla mano¬vra di palazzo. Però sembra abbastanza probabile che “Alberto”, non avendo sottomano un militare di provata fede comunista, abbia preferito assumersi di persona il Comando generale, in questo forse spinto dall’alto. Né dal suo punto di vista si poteva dargli torto.


 

Come sistemare «Sergio»?



La soluzione di dargli il Comando di una Brigata, la PASUBIANA PRIMA, non sembrava indecorosa, perché nella storia della Resistenza italiana, a guardare un po’ più lontano dal campanile, vi furono sostituzioni o defenestrazioni ben più drastiche. A quel tempo bastava un parabello dietro un cespuglio o una delazione su un luogo di transito obbligato per risolvere il problema di un Comandante.


«Sergio» non si rese conto che era diventato comandante per una carenza di quadri militari comunisti, che viveva in un’area garibaldina e non «autonoma», che alle sue spalle non aveva alcuna forza di sostegno. Ciò che fece dopo il 10 agosto 1944 è soprattutto un dramma personale e verrà discusso in un altro Quaderno.


Il punto spinoso, fonte di commenti critici, è più formale che sostanziale: fu interpellato Sergio o venne messo di fronte al fatto compiuto? Sembra da più voci che non sia stato interpellato, anche se la faccenda andrebbe appurata meglio. E perché non fu consultato?


Può darsi che effettivamente vi sia stato il problema di « come dirglielo» e che si sia preferito mettere le decisioni in circolare e lasciare il compito di riferire al primo che capita.


Una politica dello struzzo, ma comunque un sistema che conferma la posizione di forza di Alberto e del nuovo Comando generale delle due Brigate GAREMI.


Devesi però considerare anche l’eventualità che gli avvenimenti in corso in quella prima decade di agosto rendessero necessaria una immediata comunicazione del «nuovo corso» e che all’ultimo momento, come spesso succede agli Italiani, non vi sia stata la possibilità materiale di convocare «Sergio» per una serena o burrascosa discussione del problema. 



NOTE

(1) Sui Quadri comando del Gruppo divisioni cfr. in «Brigate d’assalto GAREMI», 1978, pg. 18.

(2) IGINO PIVA («Roméro» - PERIODO PADOVANO: «Padova, li 27 ottobre 1949 - DICHIARAZIONE - Si dichiara che il partigiano PIVA IGINO di fu Pietro nato a Schio il 19.2.1902 ha fatto parte della brigata “GARIBALDI F. SABATUCCI”, Zona Padova, con funzioni di comando dal 1° luglio 1944 al 1° gennaio 1945 coi nomi di battaglia di “Quinto” e “Ferruccio”. Il predetto partigiano in detto periodo fu anche comandante di GAP e del Il Btg. della Brg. Garibaldi F. Sabatucci. - In fede - (timbro) COMANDO BRIGATA GARIBALDI “F. SABATUCCI” -Dr. Lionello Geremia (Commissario del Gruppo Divisioni) - Dr. Ugo Trentin (Commissario del Il Btg.) Firme autenticate dal Presidente provinciale.  - PERIODO IN VAL D’OSSOLA (Cfr. AA.VV., Guerriglia nell’Ossola, Milano, Feltrinelli, 1975) - pg. 87 - Cronaca partigiana del 30 gennaio 1945: (...) È arrivato al campo della Brigata “Rocco” il partigiano “Battista”, già comandante militare della Brigata “Padova”. Il Comandante della Brigata “Rocco” dispone l’arresto dei partigiani “Dedi”, “Tobruk” e “Sergent” del Battaglione “Volante Azzurra”: saranno processati per malversazione - Cronaca del 25 febbraio 1945: Cesara è circondata all’alba dai nazi-fascisti. Il Battaglione “Bariselli”, colto di sorpresa, reagisce validamente al fuoco intenso del nemico, padrone di tutti i punti strategici intorno al paese. Un fascista ucciso, cinque feriti. Quattro garibaldini cadono in combattimento, otto vengono catturati. Tra questi l’anziano “Battista”, commissario della 119’ “Castaldi”, e “ Guido”, ex comandante dei Guastatori. (... )» - Cascella (“Andrea”) e commissario Gino Vermicelli (“Edoardo”). Nella 119a Brg. “Castaldi” era comandante Dino Vicario (“Barbis”). - Nota: La data del 1° luglio 1944 dell’arrivo a Padova è stata siglata per comodità di inizio del mese, mentre Igino Piva si trasferì da Schio a Padova verso la metà di luglio, stante il fatto che egli stesso ricorda l’imboscata al Bojaoro, dove cadde Pietro Zanella (11 luglio 1944).

(3) Il documento è pubblicato in Giuseppe Marozin, Odissea partigiana, I 19 della Pasubio, 1965 Azione Comune, Milano, fra pg. 176 e 177. Nella riproduzione dell’originale manoscritto manca la firma di “Alberto”, che è invece presente in una fotocopia dello stesso documento conservata presso l’Archivio Zorzanello di Montecchio Maggiore. Misteri del documenti partigiani! Con G.C. Zorzanello abbiamo ritenuto più attendibile la fotocopia in suo possesso, considerando che in quel momento “Alberto” era commissario o già comandante della GAREMI e quindi non poteva non esserci la sua firma o per lo meno quella di un suo delegato. Sarebbe invece più problematico spiegare come la delimitazione delle zone fosse stata firmata solo da Marozin e da “Zini”.

(4) GIUSEPPE LANDI (“Zini”) di Medicina (Bologna). Cfr. P. Spriana, Storia del P.C.I., vol. V pg. 354. Nei mesi di giugno-luglio 1944 il Triumvirato insurrezionale del P.C.I. per il Veneto era probabilmente costituito da Aldo Lampredi, Attilio Gambia, Bonomo Tominez (cfr. pg. 367).

(5) Le direttive del gruppo dirigente del Nord del P.C.I., sulla scorta di una linea generale tracciata da Togliatti (Ercoli), avevano m quel periodo il tono seguente: «DIRETTIVE PER LO SVILUPPO DELLA LOTTA INSURREZIONALE” - Il nostro partito potrà tanto più sviluppare con successo la sua lotta per la realizzazione di una democrazia popolare e progressiva quanto più sarà ideologicamente ed organizzativamente unito. Il nostro partito potrà camminare tanto più avanti quanto più si sarà sbarazzato dai freni di destra e di sinistra». (P. Spriano, cit., pg. 374). Più moderate sono le « DIRETTIVE DI AGOSTO - Dobbiamo sì, difendere le posizioni conquistate dalle unità garibaldine ma non possiamo pretendere di essere dappertutto solo noi e sempre i primi. Dobbiamo riconoscere le reali situazioni esistenti e lasciare li dovuto posto ai rappresentanti di tutte le formazioni» (pg. 376). È credibile che queste direttive siano giunte direttamente o di rimbalzo anche ad “Alberto”, il quale, da buon militante comunista e da ligio esecutore, non mancò di attuarle in area garibaldina “GAREMI” (vedi anche l’Introduzione al presente Quaderno).

(6) La data del 10 agosto 1944 è ufficializzata dal seguente documento: - «CORPO VOLONTARI DELLA LIBERTÀ aderente al C.L.N. - 10 agosto 1944, Zona di Campagna, a firma ALBERTO (Il Comandante) e LISY (Il Commissario) con il timbro del Comanda della Brigata d’assalto ATEO GAREMI. - Cari compagni, Ci scuserete moltissimo se fino ad oggi non abbiamo potuto farvi pervenire nostre notizie ma comprenderete che nella situazione nostra è molto facile che dei ritardi di questo genere si producano. La causa principale è dovuta al fatto che ci troviamo in una fase di riorganizzazione di tutta la nostra unità. La nostra Brigata si è divisa oggi (sic) in due Brigate e due Battaglioni formando così il Gruppo delle Brigate A. Garemi. Questa decisione è stata determinata dal fatto che la nostra Unità ha visto accrescere enormemente le sue forze e il suo raggio di azione si è esteso moltissimo e ciò rendeva difficile ad un Comando solo dirigere l’azione delle molteplici pattuglie che azionano in questa vasta zona a noi affidata. Il vostro Battaglione, l’unico che conserva la vecchia fisionomia, non dipenderà più dal Comando precedente della Caremi, ma bensì dal Comando del Gruppo Brigate A. Garemi. Il Comandante di questo Gruppo è il compagno Alberto già Commissario della Brigata “Garemi”, il commissario Politico è il compagno Lisy che già conoscete per le visite che vi ha reso ultimamente a codesta base; il compagno “Sergio” è Comandante di una delle due Brigate assieme al compagno Rino suo Commissario. L’altra Brigata ha per Comandante il compagno “Dante” già Comandante di Battaglione, Commissario Politico è un certo Ermenegildo. Il Btg. “Ubaldo” è comandato da “Marte” ed ha come Commissario Politico un certo “Belforte”. “ Il vostro Btg. non subisce alcuna trasformazione. (...) -. NOTA -”Rino” è Luigi Sella di Torrebelvicino (cfr. Ouadernipg. 106), “Ermenegildo” (Catone) è Alfredo Rigodanzo di Selva di Trissino, “Belforte” è un Bonora di Rovereto.

(7) Nell’area della Divisione alpina M. Ortigara il rettore del Collegio vescovile di Thiene mons. Antonio Zannoni, scrivendo di Giacomo Chilesotti (“Nettuno”) comandante della Divisione, così si esprime: «Quando chi scrive ebbe a prospettargli che il suo compito non si sarebbe concluso con la guerra e che i suoi fedeli come sentivano la sua guida nelle operazioni militari, dovevano avere in Lui il capo anche delle rivendicazioni sociali del dopoguerra. Egli intuì la necessità di nuovi compiti che gli sarebbero spettati; confessò la  sua impreparazione, ma s’impegnò ad uno studio, per cui chiese fin da allora lumi e sussidi (...). E quando, pochi mesi dopo, in un drammatico incontro con altro capo sentì affermare l’adesione a teorie materialistiche, a cui l’azione stessa cospirativa doveva sboccare. Egli affermò con netta decisione, pur con l’amabilità che mai si smentiva, la sua netta opposizione. Fu la sua prima adesione alla dottrina sociale cristiana: Egli fissava così la sua posizione come per la lotta di liberazione così per il lavoro di ricostruzione che si sarebbe assunto (...). Mons. Antonio Zannoni. (da A. Chilesotti, Giacomo Chilesotti, Padova 1947, pg. 33)