QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Novembre 1980 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume XII
[da pag. 618 a pag. 626]

 


ANTOLOGIA


di E. Trivellato

 

A.

PIOVENE ROCCHETTE


Il paese di Piovene Rocchette, sito alle pendici del monte Summano, si trova a cavaliere tra la Val Leogra e la Valdastico. Uno studio dell’ambiente e ricerche di archivio potrebbero mettere in luce, sotto il profilo storico, il ruolo ed il contributo del paese alla Resistenza dell’Alto Vicentino. E per un avvio ad una “storia” di Piovene Rocchette durante l’ultima guerra, mi è sembrato utile riportare qui alcuni documenti partigiani, che sono datati 27 gennaio 1948.


I:  IL DISTACCAMENTO “PIOVENE”

Comandante: Maltauro Ruggero (Attila)
Commissario: Rossato Mario (Bruno)
Staffetta: Borriero Marianna.

PRIMA PATTUGLIA: zona di operazione – Piovene paese, Ponte Pilo, alla croce di Chiuppano, Strada per Carrè e lato sud Piovene – Comandante Piccinini Luciano – Componenti: Bragiola Stefano, Dal Bosco Rosallo, Danesi Guerrino, Guzzonato Giuseppe, Ballico Francesco, De Reimondo Pietro, Giannone Giuseppe, Sandonà Aldo, Nardello Luigi, Chemello Antonio.

SECONDA PATTUGLIA: zona di operazione – Lato nord di Piovene, località “Luiare”, “Confine”, “Pilastri” ed eventuale rinforzo alla prima pattuglia – Comandante De Munari Francesco – Componenti: Bertoldo Stefano, Dal Bo Tiziano, Carraro Attilio, De Rosso Evelino, Martini Basilio, Corda Efisio, Peron Bortolo, Pozzer Giovanni, Bertoldo Mario, Mantia Anton Giulio.


II.  RELAZIONE DEL COMMISSARIO ROSSATO MARIO


Biografia – Iniziai la mia attività con le prime formazioni il 10 settembre 1943 aiutando tutti quei giovani che desideravano andare in montagna per combattere il nemico.
Azioni – Dicembre 1943 formazione a Zanè del primo centro di resistenza affidandolo a Marcante Giovanni. Collegamento con il C.L.N. di Schio con Zanon Andrea, Bozzo, ecc.
Trasporto continuo di patrioti in montagna, materiale occorrente per le varie Brigate in montagna (timbri, blocchetti, carta intestata, ecc.).
Confezionatura di indumenti di vestiario per i vari reparti (blusoni, pantaloni, ecc.)
Nel maggio del 1944 Caroti Valerio inviava da Schio una pattuglia a Canove per un prelevamento di armi, ma nel ritorno vengono arrestati a Piovene. In seguito uno della pattuglia parla svelando diversi nomi di persone. 
Riesco ad avvisare il Caroti il quale dopo peripezie riesce a mettersi in salvo e divenire in seguito mio Comandante. Nominato nel precedente mese di marzo al Comando del Distaccamento di Piovene, organizzai con pochi uomini atti di sabotaggio nel mese di giugno agli impianti della Polizia Stradale.
10 luglio 1944 fatto deragliare un treno materiali bellico ed asportato varie munizioni, indumenti di vestiario e fatto prigionieri cinque uomini di scorta. Nessun danno alle formazioni.
Collegamento diretto con la Divisione “Ortigara”, Divisione “A. Garemi” e Missione Alleata, tramite un accurato servizio di staffetta (Saugo Jolanda).
Novembre 1944 prelevamento presso al Lanificio Rossi di Piovene di una somma di denaro per le formazioni di montagna. Prelevamento presso commercianti del luogo di parecchi quintali di generi alimentari ed inviati ai vari reparti. Addestramento dei Patrioti del mio distaccamento con armi automatiche prelevate a vari elementi nemici isolati. Sabotaggio alla linea ferroviaria alla località “Costo”.
Marzo 1945 fatto deragliare un treno materiale nemico ed interrotto il servizio ferroviario fino alla Liberazione. Azioni continue di sabotaggio alle linee telefoniche della Xa Mas di Piovene e di Carrè. Informazione continua ai reparti di montagna di notizie riguardanti il movimento di truppa, rastrellamenti ed altro. Trasporto sui treni di Patrioti, di pattuglie che tornavano dai lanci ecc.
25 aprile 1945 tentato per la resa di un reparto della X Mas. - Rossato Mario (firma autografa).


“IN RICORDO DI MARIO ROSSATO “ a cura di Valerio Caroti “Giulio”.
“Me lo vedo ancora davanti con la divisa grigio-scuro di ferroviere della Società Veneta. Entrando in casa mia si levava il berretto che di continuo rigirava tra le mani finché non si era seduto.
Mario Rossato mi era stato presentato nell’autunno del 1943 da Ferrari di Piovene, allora studente di Ca’ Foscari, membro del Partito d’Azione, nel dopoguerra parlamentare del P.C.I.
Mario Rossato era capo-treno del trenino Schio-Asiago-Schio ed abitava a Piovene Rocchette.
Più anziano di me, in un primo tempo ci davamo del lei e poi fummo non solo compagni di lotta, ma amici e l’amicizia rende più leggero il rischio comune.
Egli era l’uomo giusto al posto giusto. In lui ammiravo il pacato coraggio, la tenacia indistruttibile e la grande modestia, che a chi non lo conosceva poteva apparire timidezza.
Fu per questa sua apparente timidezza che egli passò inosservato all’occhio sopettoso del nemico anche in situazioni delicate.
Nei viaggi quotidiani era attento a tutto, puntuale nei messaggi, nulla gli scappava.
In lui c’era una grande carica di umanità e sicuramente per questa umanità il partigiano scledense conobbe meglio la Resistenza sull’Altopiano o almeno una parte di questa dissipò le proprie diffidenze verso i garibaldini.
Quanti plichi di stampa clandestina egli ha portato alle varie destinazioni e quanti giovani ha accompagnato su e giù dall’Altopiano! Personalmente debbo in buona parte a lui la mia salvezza.
Un giorno del maggio 1944 piantò il suo trenino, che andò fuori orario, e corse ad avvisarmi che, qualche ora prima, una pattuglia da me inviata sull’Altopiano per recuperare armi era stata arrestata con queste e uno aveva cantato facendo il mio nome.
Ci stringemmo la mano, lui corse via e appena un istante dopo, quando vidi il camion pieno di militi preceduto da una dozzina di motociclisti, infiòlai per la strada ove abitavo sotto il loro naso attraverso l’orto dei Salesiani, che mi nascosero per una notte e un giorno.
Il mio caro vecchio papà, arrestato in quel frangente per rappresaglia, raccontava sempre la schiumante rabbia di un Capitano della G.N.R. di Piovene per essere stato beffato. Ma nessuno seppe mai che quella beffa era stata merito di un modesto ferroviere, ma di rara intelligenza e di grande coraggio”.


III. RELAZIONE DEL CAPO PATTUGLIA PICCININI LUCIANO (“Dardo”).


Inizio della mia attività il 10 dicembre 1944. Azioni: Gennaio 1945: servizio di staffetta per il distaccamento “Piovene” e reparti della Brigata “Pasubiana”.
Prelevamento col Comando distaccamento di generi alimentari. 
Febbraio 1945: scorta armata notturna per la località “Costo” di generi di vettovagliamento per le formazioni di montagna.
Sabotaggio della linea ferroviaria alla loaclità “Cimitero”. Sabotaggio ad una locomotiva alla stazione di Arsiero.
Marzo 1945: sabotaggio alla linea telefonica della X Mas di Carrè. Trasporto da Poleo a Piovene di armi e munizioni. Scontro armato con pattuglia nemica fra Piovene e Chiuppano, due feriti tra gli avversari.
Aprile 1945: subìto vari rastrellamenti dalla polizia stradale, senza subire perdite o feriti. Sabotaggio a tre autoveicoli della stradale, posti fuori uso. - Piccinini Luciano  (firma autografa).


IV.  RELAZIONE DEL CAPO-PATTUGLIA DE MUNARI FRANCESCO (“Cino”).


Iniziai la mia attività con le formazioni partigiane l’1-1-1944. Azioni - 
12 agosto 1944: Azioni di pattuglia in Val Terragnolo e subito in seguito il grande rastrellamento di Posina.
Settembre 1944: scontro armato alla località “Tretti” con le forze nemiche in rastrellamento.
Prelevamento a S.Orso di vari quintali di farina per le formazioni al Molino Facci.
Dicembre 1944: sabotaggio alle linee telegrafiche e telefoniche alla località “Confine”.
Gennaio-febbraio 1945: disarmo in varie riprese di elementi della Polizia Stradale.
Marzo 1945: sabotaggio alla linea ferroviaria in località “Luiare” interrota per vari giorni. Assalto ad un camion di viveri destinati a soldati nemici asportando vari quintali di generi alimentari. Assalto all’abitazione di un Comandante fascista protetto da guardie. Servizio nel lancio aereo sul Monte Summano. Azioni di pattuglia notturne e scontri in varie riprese con elementi riportando solo un ferito. - De Munari Francesco (firma autografa).


B.
“ADA”

Partigiano austriaco


Nel precedente Quaderno (pag. 539) si è brevemente accennato al ritrovamento di un secondo partigiano austriaco, oltre a “Josef”, combattente nella GAREMI e caduto sull’Altopiano di Asiago. La notizia proveniva dall’intervista a Sergio Caddeo (Piper) di Schio, il quale si era trasferito con la “Valanga” di Scalabrin e Licio da Malunga di Valli del Pasubio all’Altopiano (pag. 504). In una seconda intervista a Mauro Petroni (Puccini) di Vicenza ho potuto raccogliere altre notizie su questo “Ada”. Mauro Petroni così racconta:

“Sullo scontro a Camposilvano (pg. 504) va aggiunto che alcune famiglie del luogo (lasciate armate dai Tedeschi) ci spararono contro dalle finestre in appoggio ai rastrellatori; d’altronde fino all’ultima contrada dell’Alto Vicentino le famiglie, se avevano anche una patata ce la offrivano volentieri, mentre subito dopo Pian delle Fugazze in Vallarsa, quando potevano, ci prendevano a fucilate. Non tutti ovviamente, ma questo fatto va sottolineato per mettere in evidenza la pericolosità di entrare in Vallarsa e nel Roveretano.
Per quanto riguarda l’attacco alla Caserma di Valli del Pasubio nel giugno 1944 gli attaccanti furono in quattro solamente: Scalabrin, Licio, Mastrilli, Rolando (un ex carabiniere dei Cappellazzi poi fucilato in Valle dell’Agno).
Non ho conosciuto, o perlomeno non ricordo, un jugoslavo ebreo di nome “LEO”, aggregatosi a noi. Invece rammento due polacchi che avevano il nome di battaglia: “POLE” e “FIORE”.
In merito ad “ADA” ricordo che era un austriaco, che aveva disertato, ed era passato in Malunga con i partigiani, ma non so in qual modo, perché lo trovai già sul posto.
Era un giovane di 22-25 anni, piccolino, molto simpatico, parlava discretamente l’italiano, vestito alla partigiana, armato di carabina o fucile. Venne con tutta la pattuglia di Malunga in Asiago.
Quel giorno che fu ucciso, ci trovavamo alla capanna Keno in Biancoia e si era messo una sentinella sulla strada che da Malga Biancia sale a Malga Col di Novanta, Col di Remi e termina a Malga Col d’Astiago.
Sulla strada passò una macchina di Tedeschi, la sentinella ci avvisò e partimmo in una ventina con Licio; intanto la macchina si fermò a Malga Col di Novanta. Noi ci dividiamo per aggirarli, ma i 4-5 tedeschi della macchina si accorgono di noi ed improvvisamente due di loro partono di corsa per arrivare a Cima di Montagna Nuova e contro.aggirarci o fare un’azione diversiva. Allora Licio, Ada ed io partimmo di corsa per precederli, ma ci rendemmo conto che loro potevano essere già arrivati; quindi Licio ed io ci siamo sistemati accosciati, schiena contro schiena, per difenderci e poter sparare da tutti i lati con i nostri due mitra e cioè avere un campo più largo.
Ada invece si è spostato una ventina di metri più avanti, ma con l’accordo di non muoversi e di restare immobili, perché erano i Tedeschi costretti a muoversi (in questo caso avremmo individuato la loro posizione).
Vedo un movimento nei macchioni di faggio ad un centinaio di metri, ma con il mitra non ho molte possibilità di arrivarci. Se ne accorge anche Ada e, malgrado l’accordo di restare fermi, si sposta in avanti.
Il tedesco nascosto ha lanciato una bomba a mano, facilitato dal lancio in discesa, e questa è scoppiata alle spalle di Ada. Purtroppo una scheggia lo ha colpito alla nuca I tedeschi hanno anche sparato delle raffiche e Licio ed io abbiamo risposto al fuoco, ma senza risultato perché sono riusciti a dileguarsi, a raggiungere la macchina e ad allontanarsi attraverso una vecchia mulattiera che porta al Puffele.
Tolto su Ada, lo abbiamo trasportato per 200-300 metri. Non potevamo farci nulla, perché era gravissimo, se non aspettare che morisse; infatti spirò dopo circa un’ora.
In quei momenti di attesa ho avuto lo spavento peggiore della mia vita: ci era giunta notizia che sull’Altopiano un partigiano era saltato in aria a causa di una bomba a mano che portava alla cintola.
Mentre stavo lì con gli altri e con Ada morente, un pezzetto della sigaretta mi cadde fra il cinturone ed una sipe, il tessuto prese fuoco e cominciò a salire un po’ di fumo. Nell’attimo che me ne accorsi pensai che la Sipe stesse per scoppiare.
Ada fu sepolto in un prato di Montagna Nuova, però mi sembra di ricordare che Silvio de Molo (Bob) da Torrebelvicino (Cl. 1926, ora a Verona) mi disse dopo la Liberazione che Ada fu riesumato.
Siccome la zona gravita a Conco, si potrebbe accertare la cosa presso l’archivio parrocchiale o cimiteriale di Conco”.
In considerazione che “Ada” si aggregò alla “Valanga” di Malunga e con questa operò fino alla sua morte dobbiamo considerare questo partigiano austriaco, dalle generalità finora ignote, come un Caduto della Val Leogra.

Un altro Caduto che non ritrovo in lapidi o documenti e “LEO”, un ebreo jugoslavo ucciso in Comune di Valli del Pasubio. Secondo notizie di Spiegel Mladen (16-9-1980-Schio) il suo vero nome sarebbe STEINLAUF e, con il cugino Herman, proveniva da Sarajevo, pur essendo un ebreo oriundo tedesco.
Herman riparò probabilmente in Svizzera, mentre “Leo” si aggregò ai partigiani della Val Leogra.


Ulteriori notizie ho avuto da Lagni Elica di Contrà Pietra (Valli), nella cui stalla “Leo” aveva trovato un rifugio. - “Detto anche “Bruno” era un giovane di 27 anni, che parlava bene l’italiano.
Il 3 aprile 1945 Contrà Pietra fu improvvisamente circondata dalla G.N.R. con piazzamento di mitragliatrici e con cani lupo.
Il giorno prima la Bruna Chiumenti aveva avvisato Leo che era in vista un rastrellamento, ed anch’io avevo cercato di convincerlo ad allontanarsi, ma lui forse pensava che volessero mandarlo via.
Invece vi era stata una delazione ben precisa e scritta da parte di una ragazza di Valli.
Leo uscìprecipitosamente dalla stalla, passò davanti alla casa e fece il giro verso il portico. Il milite della G.N.R. con il quale ho parlato, che si trovava alla mitragliatrice non ebbe il coraggio di sparargli a freddo appena lo vice, tanto che il Maresciallo voleva poi farlo fucilare. Cosero su in tre-quattro e nell’attimo che Leo uscì allo scoperto gli spararono colpendolo in piena faccia: morì sul colpo. Lo caricarono su di un carretto a mano e, con me arrestata, ci portarono a Pian delle Fugazze e poi a Rovereto. Quindi penso che lo abbiano sepolto a Rovereto”.


C.

MARIO CITTADINO

 

Le vicende dell’ing. Mario Cittadino nella Resistenza scledense meritano una breve narrazione per i suoi collegamenti con il C.L.N. e per offrire elementi di conoscenza su di un personaggio che, venuto a Schio da fuori, potrebbe apparire estraneo all’ambiente scledense.
Il padre Enrico, nativo di Messina, era un generale di Divisione a riposo per invalidità conseguente ad una ferita sul Montello nella Prima Guerra Mondiale: un uomo coraggioso, pluridecorato, piuttosto rigido e militaresco.
Sposò un’Angela Ferrari di Reggio Emilia ed ebbe un unico figlio: Mario. Destino volle che il padre Enrico morisse a Schio proprio il giorno della Liberazione per una pallottola vagante che lo colpì alla testa mentre si trovava ricoverato, in poltrona, in una stanza dell’Ospedale Baratto.
Il figlio Mario Cittadino, nato a Torino il 15 dicembre 1902, si avviò agli studi tecnici prima alla Cordellina a Vicenza, poi alla Scuola Industriale di Milano, dal momento che il padre era colà ricoverato per la ferita sul Montello.
Superati gli esami di integrazione, Mario passò al Politecnico, ma ad un certo punto, insofferente dell’autoritarismo paterno e spinto da un desiderio di autosufficienza, partì per Parigi, lavorando in una officina, studiando alla Sorbona per imparare il Francese e saltando talvolta qualche pasto.

Rientrato poi in famiglia, Mario conseguì la laurea al Politecnico in Ingegneria e, esente dal servizio militare come figlio unico di padre invalido, tornò a Parigi lavorando alla Marelli fino al 1932 arrivando all’incarico di Vicedirettore. Vi fu la prospettiva di recarsi in Australia, ma le precarie condizioni di salute della madre malata di cuore e l’affetto che questa nutriva per il suo unico figlio, lo convinsero ad abbandonare la Marelli ed a rientrare in Italia.
Sposò una Laura Boschetti di Schio, di Palazzo Boschetti, e si impiegò nella “Dell’Orto” a Milano rimanendovi fino al 1944 e facendo la spola con Schio. 
Una prima figlia Luisa nacque a Milano nel 1938, la Franca nel 1940 e la Giovanna nel 1943.
Mario apparteneva allora alla “Fabriguerra” (ingegneri militarizzati con funzione di collaudatori nelle industrie che lavoravano per le commesse militari) ed oltre che a Milano si spostava spesso anche a Trieste.
Il suo inserimento nella Resistenza scledense ebbe inizio per il fatto che la moglie Laura Boschetti conosceva la madre di Bruno Stocco per lavori di sartoria.
Il primo incontro con Bruno Stocco avvenne nella primavera del 1944 e Mario Cittadino si interessò per avere dei finanziamenti a favore dei partigiani, parlando con Ezio Panciera, con il cognato Prof. Gasparini primario medico; conobbe Gerardo Perandini, fu in collegamento con Remo Grendene, ebbe un incontro con l’arciprete Tagliaferro, partecipò a riunioni con il Rag. Bolognesi, sempre con il pericolo di essere scoperti dalle Brigate Nere e dai Tedeschi.
Non conoscevano il suo nome, ma cercavano un Ingegnere che veniva da fuori. Non ebbe collegamenti né con il Lanificio Rossi né con il Lanificio Conte. Fu l’ing. Domenico Greselin ad avvertirlo dei sospetti che avevano i Tedeschi. Rimase quasi stabilmente a Schio dal novembre 1944 alla fine della guerra, a causa anche dei trasporti estremamente precari. Sulla compartecipazione dell’Ing. Mario Cittadino nelle trattative armistiziali con i Tedeschi alla Liberazione verrà riferito in un prossimo Quaderno. (da una intervista del 26-1-1980)


ENRICO CITTADINO. Nato a Messina il 3-3-1876. Generale di Brigata mutilato di guerra. Partecipò alla guerra di Libia ed alla Prima Guerra Mondiale. Decorato di 6 medaglie di bronzo al valor militare, 1 medaglia d’argento sul campo, croce di guerra francese con palme 1915-18, 2 croci di guerra 1915-18, una croce al merito 1915-18. Caduto a Schio il 29 aprile 1945.


D.

AUGUSTO GHELLINI

 

Il padre Iramo, del ceppo dei Conti Ghellini, nato nel 1985 era impiegato presso il Municipio di Vicenza; Maggiore degli Alpini, fu richiamato ed all’8 settembre 1943 venne fatto prigioniero. 
La madre era una Parisio Carolina di Recoaro.
AUGUSTO GHELLINI (“Barba”), nato a Malo (S.Tomio) ed ivi residente, era allora studente universitario della Facoltà di Lettere ed all’8 settembre si trovava a Tolmino negli Alpini come sottotenente di prima nomina.
Rientrò a S.Tomio il 12 settembre ed il 14 partecipò già ad una riunione a Vicenza del costituendo Comando Militare Prov.le, di cui ricordo con sicurezza la presenza di Malfatti.
Ad Augusto venne assegnata l’organizzazione del Quarto Settore (Thiene, Schio, Villaverla, Dueville, Malo, Isola). Oltre a contatti con vari amici, egli rammenta un paio di riunioni nel Collegio Vescovile di Thiene con Mons. Danese, con Italo Mantiero, il Prof. Angelo Fracasso di Villaverla.
I rapporti con Schio non furono mai diretti, ma tramite Luigi Bortoli (“Grillo”), nativo di Torrebelvicino e residente a Malo.
Nell’autunno 1943 e durante l’inverno si avviò l’organizzazione e la raccolta di armi, finché verso il marzo del 1944 il Comando Prov.le lo incaricò di tenere i rapporti con l’Altopiano di Asiago, dove, tra le molte persone incontrate, ricorda i Rigoni (el Titi ed il fratello): le pattuglie erano in formazione e nella seconda metà di marzo arrivarono i primi lanci.
Venne combinato di portare giù delle armi (Sten e munizioni, mentre i Bren arrivarono più tardi) con il trenino del Costo; uno dei primi gruppi fu quello di S.Tomio, formato anche da varie donne.
Augusto si recò alla fermata di SS.Trinità a Schio, con Bortoli, per ritirarle e portarle a S.Tomio.
Bortoli a sua volta ebbe contatti con Valerio Caroti, Domenico Baron, Remo Grendene, con Gigi Meneghello, Primo Girardi (“Mirko”) e con altri.
Anche nei mesi di giugno-luglio 1944 Augusto Ghellini ebbe l’incarico di tenere i contatti con l’Altopiano di Asiago, accompagnando su molti giovani renitenti, tra i quali ricorda anche Giampaolo Cicogna (Giampa) e Walter De Stavola di Vicenza.
A Padova ebbe contatti con Pierluigi Cazzola di Schio. 
Inizialmente Ufficiale di collegamento, Augusto in seguito divenne Comandante della “CESARE BATTISTI” fino a quando venne arrestato ai primi di settembre 1944.
Sulla presenza di Augusto, prigioniero della Tagliamento, durante l’attacco di Sanvito si è già scritto; poi fu portato a Torrebelvicino e qui riuscì a fuggire assieme e con l’aiuto di un Sergente maggiore (Viretti Umberto “Pluto” di Torino, che poi si aggregò al Tar a Monte di Malo e che restò ucciso nell’esplosione di Montecchio Maggiore).
Con l’arresto e la fuga Ghellini era ormai “bruciato” nella zona, per cui verso novembre-dicembre 1944 passò con le formazioni partigiane del Piemonte, sopra Vercelli, dove si trovavano formazioni “autonome” locali e formazioni garibaldine con “Gemisto”.
Partì il 27 aprile e tornò a S.Tomio verso i primi di maggio del 1945 (da una intervista a Malo del 6-6-1980).


E.

GILDO BROCCARDO

un ricordo di “Giulio”

 

“Nato il 12 giugno 1905, Gildo è deceduto il 24 settembre 1971. Non saprei dire quante volte, conversando con l’amico Emilio Trivellato, mi è venuta la frase: “qui bisognerebbe sentire Gildo Broccardo”. 
Ma Gildo Broccardo non è più da parecchi anni e ha lasciato un vuoto di notizie non facilmente colmabile.
Operaio presso il Lanificio Cazzola, si era scelto il nome di battaglia di “Bruno”, ma non l’ha mai usato e per noi era sempre e soltanto “Gildo” l’uomo provvidenziale puntualmente presente in ogni momento di necessità, che risolveva i problemi impossibili informandoci con la sua aria perennemente tranquilla e aperta al sorriso, una incrollabile fiducia.
Noi riponevamo la sicurezza nell’arma, Gildo Broccardo non ha mai portato armi, salvo che per recapitarle ai partigiani, eppure aveva più sicurezza e più certezza di noi.
Egli dava il senso della indistruttibilità e della continuità della Resistenza la quale ci appariva così, senza ombra di dubbio, molto più forte del nemico.
In via continuativa la maggior parte dei nostri feriti o malati passavano dalle sue mani per essere condotti presso i medici nostri amici o ricoverati e nascosti all’ospedale di Schio, complici benefiche le suore che per Gildo nutrivano una profonda e meritata stima.

Il grande rastrellamento di Posina era cessato da appena un giorno e in folto gruppo ci eravamo raccolti sopra contrà Vanzi nella Valle dei Laghi. Con noi avevamo dei feriti di cui uno gravissimo che aveva un occhio distrutto da una pallottola e una spalla fracassata da una raffica di mitra. 
Era già partita una staffetta donna ad avvertire “quelli” di Schio, ma la situazione appariva decisamente drammatica sia per i feriti che si aggravavano, sia perché eravamo scossi per le perdite subite (anche se non elevate) e non conoscendo la situazione del nemico fuori delle valli, temevamo  di veder spuntare ancora da un momento all’altro i musi delle autoblinde e dei carri armati.
Nel pomeriggio del secondo giorno, preceduta da una segnalazione, un’auto scura si fermò al limite della impervia stradetta dei Vanzi e ne discesero Gildo Broccardo e Pierluigi Cazzola: erano venuti a prendere i feriti.
Sbalordito chiesi: “e i tedeschi?”  “No gavemo trovà nessun e speremo de no trovar nessun gnanca al ritorno” disse Gildo con incredibile tranquillità. Guardammo partire i due coraggiosi con angoscia perché le strade per andare a Schio erano solo due: la strada di Arsiero e il colle Xomo.
Era impensabile il transito per i Campilussi e Folgaria o per la Borcola. Alexander aveva appena lanciato il noto disastroso messaggio e al comando ci eravamo resi conto che avremmo avuto davanti almeno un altro inverno con tutti i gravissimi problemi di sussistenza per centinaia di uomini alla macchia che non potevano né tornare a casa né infilarsi nella Todt.
Fu l’ora del massimo scoramento in quell’autunno precocemente freddo e piovoso con i boschi che intristivano anzitempo.
Ma venne Gildo su al comando e alle nostre preoccupazioni rispose con il suo sorriso buono: “non stè aver paura, gavemo pensà per tempo”. Così si seppe che erano state immagazzinate alcune centinaia di quintali di frumento e sorgo.
Gildo fu il primo a portare la notizia degli arresti di Schio ai primi di dicembre del 44. Ci avvisò che era stato catturato e già torturato anche Toni Canova, comandante dei territoriali, e che ora si trovava all’ospedale in gravi condizioni e guardato a vista dai militi in attesa che si ristabilisse per un secondo “interrogatorio”.
Quella fu l’unica volta in cui vidi Gildo preoccupato seriamente: infatti Toni Canova conosceva centinaia di nominativi di territoriali e se i suoi saldi nervi fossero per disgrazia ceduti sotto la seconda tortura (non c’è da stupirsi), a Schio ci sarebbe stato lo sconquasso.
Seduta stante si decise di portar via Toni Canova con un colpo di mano la sera stessa: Gildo discese a Schio a preparare l’ambiente e a raccogliere notizie che ci forniva ogni ora fin nei minimi particolari e alla sera, sempre con Gildo in avanscoperta, scendemmo a portar via il prigioniero senza torcere un capello alle guardie presenti.

Sicuramente Gildo è passato indenne attraverso la propria rischiosissima missione durata 20 mesi perché era intelligente, coraggioso e straordinariamente buono e generoso e nessuno poteva sospettare di lui. A giusta ragione fu intendente delle nostre formazioni ed ebbe il grado di Capitano. L’opera di Gildo Broccardo fu un esempio di modestia e un costante messaggio di umanità nello spietato mondo della guerriglia” (settembre 1980 – Valerio Caroti “Giulio”).

 

F.

OTELLO GADDI

 

A Schio ebbe residenza una figura prestigiosa della R.S.I.: Otello Gaddi. Le notizie qui riportate, benchè incomplete, suggeriscono comunque l’idea del rilievo assunto dal personaggio durante l’ultima guerra. Gaddi, figlio di Roberto e di Ginevra Baraldini, era nato a S. Felice sul Panaro il 16-12-1901 e nel 1927 aveva sposato a Rimini una Lina Pietroni; a Mirandola il 21-7-1928 nacque la primogenita Roberta ed il 25-6-1930 il figlio Giangaleazzo.
Otello Gaddi, centurione della M.V.S.N., arrivò a Schio nell’ottobre del 1933 sistemandosi in via Pasubio 347, poi in via Riboli 11, infine in via Pasini 73 al 1° piano della casa degli eredi Crestana Gaetano. Nell’agosto del 1936 spostò la residenza a Vicenza, dove appunto nacque la figlia Maria Teresa il 15-10-1936. Vi fu un ritorno a Schio nell’ottobre del 1939 e qui infatti tenne la residenza fino al 19-10-1944. Poi si trasferì nuovamente a Vicenza. Nel gennaio del 1943 Otello Gaddi è il 1° Seniore e comandante della M.V.S.N. - 170° Bgt.ne Squadristi “Vespri”.

Nel settembre del 1943 a Schio troviamo il 1° Seniore Giuseppe Mazzotti al comando della 44° Legione Camicie Nere della M.V.S.N., ma nel dicembre del 1943 il comando venne assunto da Otello Gaddi, come infatti risulta dal seguente documento:


14 dicembre 1943 – Guardia Nazionale Repubblicana – Comando 44° Legione – Oggetto: Assunzione di Comando – Al Commissario Prefettizio di Schio – Ho assunto in data odierna il Comando della 44° Legione – 1° Seniore Otello Gaddi.


In un altro documento datato 5 febbraio 1944 troviamo ancora Gaddi al Comando della G.N.R. a Schio, ma verso metà giugno dello stesso anno egli figura come Comandante provinciale a Vicenza con il grado di Tenente Colonnello.
Per spiegare la brillante carriera di Gaddi nella Repubblica di Salò occorre innanzitutto fare riferimento al famoso “Processo di Verona” del gennaio 1944 contro Galeazzo Ciano ed altri ex Gerarchi che avevano votato l’ordine del giorno Grandi per la destituzione di Mussolini il 25 luglio 1943.
Con la costituzione della R.S.I. dopo l’8 settembre 1943 diventò Ministro di Grazia e Giustizia il ben noto Tringali Casanova, già Presidente per molti anni del Tribunale Speciale (cfr. a pg. 96); questi tuttavia morì improvvisamente poco dopo la nomina, il 30 ottobre 1943, e fu sostituito nel Ministero da Piero Pisenti, uomo di legge abbastanza moderato e contrario a procedure con carattere di vendetta politica.
Ma la violenza manifestatasi al Congresso di Verona del nuovo P.F.R. nel novembre 1944, portò il Consiglio dei Ministri a decidere, su proposta di Pavolini, la ricostituzione del Tribunale Speciale (24 novembre 1944).
Fu nominato Presidente ALDO VECCHINI, che il governo Badoglio aveva a suo tempo rimosso dalla Presidenza dell’Avvocatura di Stato.
Tra i membri del nuovo Tribunale Speciale, che poi condannò a morte Ciano e gli altri, troviamo anche Otello Gaddi (cfr. F.W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, op. cit., pp.848-849).
Oltre al Presidente, l’elenco dei componenti è il seguente: Generale MONTAGNA, ufficiale superiore della Milizia, arrestato da Badoglio dopo il 25 luglio, poi Capo della Sezione Disciplina del P.F.R. - CELSO RIVA, operaio metallurgico, membro fondatore del Partito fascista e padre di Luigi, ucciso a Torino dopo la fondazione del P.F.R. - RIGGIO, console della Milizia e capo della spedizione punitiva a Brescia ed a Ferrara – CASALINUOVO,  console della Milizia e membro dello Stato Maggiore – OTELLO GADDI, comandante di battaglione della Milizia (44° Legione a Schio), antico dirigente fascista nell’Italia meridionale, rappresentante delle provincie occupate dal nemico. - DOMENICO MITTICA, comandante della Milizia a Torino – VEZZALINI, avvocato, squadrista, uno dei capi della spedizione punitiva a Ferrara (Collezione tedesca, telegramma di Rahn, 25 novembre 1943).

Al processo di Verona, che ebbe luogo nel gennaio 1944, il magistrato inquirente fu Vincenzo CERSOSIMO (cfr. Cersosimo, Dall’istruttoria alla fucilazione, Storia del Processo di Verona, Garzanti, Milano, 1961).
Rudolf Rahn ambasciatore tedesco in Italia scrisse: - “I membri della Corte Speciale saranno proposti da Pavolini e nominati dal Consiglio dei Ministri….Sono uomini che si sono dimostrati fascisti provati e fanatici della vecchia guardia, e molti hanno le più alte decorazioni di guerra e secondo Pavolini offrono la massima garanzia che, specialmente nel caso Ciano, pronunceranno la sentenza di morte”.

Il processo pubblico si aprì il mattino dell’8 gennaio 1944 nella grande sala di Castelvecchio a Verona e l’ultima udienza cominciò alle 8.50 del 10 gennaio (cfr. André Brissaud, La tragedia del processo di Verona, Ed. Fermi, Ginevra, 1974).
L’autore scrive (pg. 185): - “Alle 13,40 il presidente del Tribunale, Aldo Vecchini, seguito dai giudici Ceso Riva, il generale della Milizia Renzo Montagna, il professore Franz Pagliani, il console Domenico Mittiga, il conte Vito Casalinuovo, il podestà di Ferrara, Enrico Vezzalini e Otello Gaddi, ritornarono nella sala dell’udienza.
Il presidente diede lettura del lunghissimo testo del verdetto, che confutava, punto per punto, la linea di difesa degli imputati e pronunciò infine la condanna alla pena di morte di 18 membri del Gran Consiglio del Fascismo.
Solo Cianetti fu condannato a trent’anni di prigione con l’esclusione a vita da ogni pubblico impiego”.
In una foto, riportata nel testo (pg. 192), la didascalia spiega: - “Il tribunale di Verona presieduto da Aldo Vecchini. Ai suoi lati: Celso Riva, Renzo Montagna, Franz Pagliani, Vito Casalinuovo, Enrico Vezzalini e Otello Gaddi”.

 

A quel tempo si parlò molto a Schio di questa partecipazione al Processo di Verona di Otello Gaddi, che abitava appunto con la famiglia in via Pasini. Altrettanto interessante sarebbe uno studio sul ruolo di Gaddi a Salò. Resta comunque il fatto che egli rappresenta, nella storia locale, la figura più prestigiosa del P.F.R.


G.

UNA VEGLIA FUNEBRE

 

Pietro Dalle Nogare (di Ludovico e di Poglia Lidia, n. a Schio il 3-2-1936) ha un ricordo infantile piuttosto insolito del periodo bellico. La sua famiglia si era trasferita per un certo tempo in una contrada dell’alta Val Posina, proprio durante la zona libera. Quando capitò il grande rastrellamento tedesco il padre Ludovico, Furia, Spivak, un certo Aldo e qualche altro si nascosero nei boschi ed il piccolo Piero restò in casa assieme ad una ragazzina di 15 anni. Il giorno prima nella famiglia che li ospitava era morto il nonno ottantenne, cosicchè i due ragazzini restarono per due giorni da soli con il morto nella cassa e quattro ceri attorno. Se Piero dice di aver avuto una gran paura, pari a quella dei partigiani nel bosco, possiamo crederci.


H.

BREAK


Da una parte e dall’altra dei contendenti, soprattutto per la giovane età, vi era il problema delle ragazze e di far “rocolo”. Sull’argomento si potrebbe scrivere una storia interessante, in parte spassosa a volte drammatica. Purtroppo lo impedisce, in questa sede, la opportunità di mantenere un certo tono di serietà confacente ai tempi tragici.
Un fatto curioso è tuttavia l’accordo combinato a muso duro al Pornaro. Qui scendevano a ballare, nei momenti di tregue, i giovanissimi della polizia trentina che si trovavano in un cantiere della Todt. A loro volta alcuni partigiani avevano delle “morose” al Pornaro.
Quindi ai trentini venne fatto questo discorso: - “Tenti tusi, qua ognuno tende i so afari. Mètare le armi sulle sedie e no tocarle fin che semo qua a balare, se no va a finire che ve copèmo. E sa che semo qua, ricordeve che organisasione Todt vol dire de fare un tot e basta, cioè laorare a chi fa manco, parchè se no sta guera no la finisse pì”.
Invece nel gennaio-febbraio 1945 arrivarono i bolzanini e di quelli, mi si dice, non ci si poteva fidare.


I.

STIPENDIO NETTO MENSILE DI UNA MAESTRA


Uno studio sugli stipendi in periodo bellico, a sua volta in rapporto con i prezzi dei generi di prima necessità, potrebbe chiarire la situazione di disagio economico di determinate categorie sociali. Incidentalmente sono venuto in possesso degli importi netti percepiti mensilmente da una maestra elementare nell’arco di vent’anni (nel 1929 era di ruolo con 9 anni di anzianità). I valori qui indicati rappresentano la media mensile calcolata sui dodici mesi dell’anno.
Anno 1929 – lire 617 mensili  - Anno 1930 – lire 605  Anno 1931 – lire 588  - Anno 1932 – lire 596
Anno 1933 --lire 596  - Anno 1934 - lire 552 – Anno 1935 – lire 550 – Anno 1936 – lire 548 – Anno 1937 – lire 633 – Anno 1938 – lire 695 – Anno 1939 – lire 740 – Anno 1940 – lire 756 – Anno 1941 – lire 840 – Anno 1942 – lire 989 – Anno 1943 – lire 1.150 – Anno 1944 – lire 1.860 – Anno 1945 – lire 5.738 – Anno 1946 – lire 10.287 – Anno 1947 – lire 20.100 – Anno 1948 – lire 27.950 – Anno 1949 – lire 32.000 – Anno 1950 – lire 35.000.

 

L.

I LAVORATORI ITALIANI IN GERMANIA

 

Durante tutta la Seconda Guerra Mondiale ebbe un certo rilievo, specie nelle zone industriali come Schio e Comuni viciniori, la partenza di operai italiani, ingaggiati da contratti allettanti, per il lavoro in Germania.

 


BERTOLDI GUGLIELMO (“Mino”), nato a Sanvito e residente poi a Torrebelvicino, elettricista, ha fornito una testimonianza ed alcuni documenti.

“Alcune industrie scledensi – ricordo il Lanificio Rossi, la Fabbrica Navette e l’industria Saccardo – lavoravano per la produzione bellica ausiliaria e le rispettive Direzioni furono invitate nel 1941 ad inviare al lavoro in Germania un certo numero di operai. I Tedeschi, per invogliarci, avevano studiato dei contratti individuali che a quel tempo ci sembravano favolosi, in pratica il rqaddoppio dello stipendio.
A vent’anni io lavoravo come elettricista presso la Fabbrica Navette e ricordo che Vittorio Scalabrin sbottò a dire: - “Sicchè ai Tedeschi io faccio da comodino! Perché tu impari qui da me e poi te ne vai in Germania”.
La partenza collettiva avvenne il 14 maggio 1941 dalla Stazione di Vicenza dove era stato organizzato un apposito convoglio, con carrozze di terza classe, di circa 1.500 operai di tutta la Provincia.
Mi resi conto della mentalità dei Tedeschi quando al confine sigillarono i vagoni con la scusa che si doveva attraversare la Svizzera, un paese neutrale; ma più tardi seppi che eravamo passati per il Brennero e per l’Austria.
A Lipsia vi fu la prima tappa e qui incontrammo altri operai venuti con un convoglio simile da Genova; nel salone del posto di ristoro ci presentarono una “risetta” talmente immangiabile che i Genovesi smaltarono i piatti sui muri facendo nascere un tafferuglio con l’intervento della Polizia.
Arrivai a destinazione a Nauen (Berlin), alla periferia di Berlino vicino alla fortezza di Spandau, e ci sistemarono in un Arbeitslager formato da un albergo requisito agli Ebrei e da alcune baracche per gli apprendisti.
Gli orari e la distribuzione dei lavori erano organizzati molto bene e si disponeva di un abbonamento settimanale di andata e ritorno per Berlino, dove lavoravo alla Siemens.
I bombardamenti erano qualcosa di spaventoso, strade intere che ai lati avevano solo i muri delle facciate. 
Ricordo che dopo il bombardamento i Tedeschi ci vietavano l’accesso, forse per impedire che facessimo poi circolare notizie. Qualche volta ci mandavano ad eseguire impianti e manutenzioni a Finkenkrug, dove c’era un campo nel quale lavoravano famiglie intere di prigionieri civili russi (tecnici, professionisti, insegnanti): regolavano e dipingevano con colori fluorescenti le capsule per granate antiaeree e gli altimetri; conducevano una vita molto misera, con filo spinato tutto attorno, cani lupo e guardie armate, focolai improvvisati all’aperto dove scaldavano nei pentoloni dei pastoni di pane nero di segala.
Noi italiani, quando si poteva, passavamo un po’ di margarina o di funghi raccolti nei boschi.
Feci amicizia con parecchi di loro, con un serbo e con una ragazza – Raja Petrovno – con i quali in seguito ci scrivemmo. Tale amicizia fra operai italiani e prigionieri russi fu notata e sgradita ai Tedeschi, al punto che uno di loro mi consigliò, con altri 14, di richiedere il trasferimento a Vienna, dove la Siemens si trovava nella Dietrichgasse n. 5.
Così feci e diventai capogruppo degli installatori, con lavori in vari luoghi, compresi i palcoscenici ed i teatrini funzionanti a quel tempo per tenere alto il morale della truppa.
Nella nostrastanza con i letti a castello c’erano i ritratti di Hitler e di Mussolini e quando venne il 25 luglio 1943, io ed un udinese buttammo quello di Mussolini nei gabinetti, ma il giorno dopo era al suo posto, rabberciato alla meglio e senza vetro.
Quando la sera dopo l’udinese ripetè l’operazione, arrivò la DNS per un’inchiesta. Pensando alla situazione italiana, sollecitai la famiglia – come facevano molti connazionali – a farmi pervenire un telegramma di rientro immediato per malattia grave di un familiare, il che avveniva con la compiacenza del Medico e con l’astensione tacita dei Carabinieri da eventuali accertamenti. In questo modo arrivai a Torrebelvicino il 4 settembre 1943”


DOCUMENTI

A.) In luogo del passaporto la Confederazione Fascista Lavoratori Industria-Unione di Vicenza, rilasciava al lavoratore un tagliando in triplice: 1. - Nulla osta per l’espatrio che veniva staccato al confine ed inviato al C.F.L.I. a Roma.
2. - Permesso di rimpatrio rilasciato dall’Arbeitsamt tedesco ed inviato alla Deutsche Bank di Berlino.
3. - Copia di tale permesso per Roma.

B.) I risparmi in RM venivano depositati in una Tessera bancaria presso la Deutsche Bank e di qui si effettuavano le rimesse in Italia alle rispettive famiglie.

C.) Alla scadenza del contratto la ditta tedesca rilasciava una dichiarazione di durata del rapporto di lavoro: Riportiamo il testo di tale documento:
“SIEMENS 6 HALSE – Berlin, Charl., Gartenfeld, Spandau – den 21-6-1943 – ABGANGS-BESCHEINIGUNG – Herr M.L. war vom 14-5-1941 bis zum 28-6-1943 als Dreher in unseren Betrieben beschaeftigt und war waehrend dieser Zeit Mitglied der Betribekrankenkasse der vereigten Siemenswerke. Ablauf des Arbeitsvertrages: Timbro e firma.